A volte è un calvario leggere i giornali italiani. Per esempio quando scrivono che l’ascesa di Imane Khelif, che ora potrebbe vincere l’oro di pugilato femminile alle Olimpiadi di Parigi 2024, è stata un calvario. Proprio “calvario”: “Il calvario di Khelif procede verso l’oro tra bugie e solidarietà”. A firmare il pezzo per il Corriere della Sera è lui, “il nostro inviato”, ma potrebbero dire “il nostro tutto”, l’uomo al centro del Corriere, l’Ermes del giornalismo italiano. Che vola a Parigi e ci fa sapere, direttamente dalla capitale dell’amore, che quello di una pugile che rischia di vincere la medaglia più importante, all’evento sportivo più importante dell’anno, è un calvario. Ma un calvario calvario, non un calvario per modo di dire. Suo e di Lin Yu-Ting, altra vittima del circo mediatico, anzi del “bullismo mediatico”. E pensare che sarebbero bastati i risultati di un test genetico, un terzo test a dire il vero, visto che ne avvrebbero già fatti due tra il 2022 e il 2023 due laboratori diversi per conto dell'Iba. Sarebbe bastato che il Cio avesse preso qualche accorgimento nei tredici mesi che separano l’inizio di Parigi 2024 e, pare, l’email dell’Iba che comunicava al Comitato olimpico internazionale, in via confidenziale, i risultati degli esami del dna. Sarebbe bastato, da parte dell’Algeria, fare un ricorso al Cas, la Corte arbitrale dello Sport (che non dipende dall’Iba), con il rischio, certo, di vedere i risultati dei test in una sentenza di dominio pubblico, quindi impossibile da nascondere. Però è un calvario, un calvario calvario “tra bugie e solidarietà”. L’unico calvario, semmai, è la sua storia in Algeria, dove ha dovuto lottare per praticare uno sport che amava. La stessa Algeria che ora la difende perché vince.
C’è anche il momento Superquark, in cui Cazzullo spiega che hanno esagerato tutti, perché la questione su cui discutere è effettivamente solo quella dei livelli di testosterone, stop. Peccato che l’unica questione di cui non si dovrebbe discutere, invece, è proprio quella del testosterone. Uno: l’Iba non ha mai parlato di livelli alti di testosterone. Due: il Cio ha ammesso Khelif dopo un test per rilevare i livelli di testosterone, che quindi sono stati tenuti “bassi” dalla pugile. Tre: il testosterone a venticinque anni non ci dice nullo sullo sviluppo fisico in età puberale. Dopo una settimana, questa era facile. Cazzullo sveste i panni di Piero Angela e indossa quelli da storico di Alberto, cita l’ermafrodito di Rouen del 1601 e poi dice “il caso Khelif è ancora diverso: non è una persona ermafrodita”. E inizia il pezzo ricordando la storia di Saartie Baartman, la ragazzina sudrafricana che nel 1815 veniva esibita nello “zoo umano” di Parigi (e i cui resti Mandela dovette chiedere indietro, in modo da darle degna sepoltura). E aggiunge: “Imane Khelif ha subito un calvario meno drammatico e che avrà certo un esito diverso”. Quindi esempi che non sono esempi. Poi Cazzullo racconta la fine dell’ultimo match, che dovrebbe essere la fine di queste polemiche: spogliatoio, Khelif che ringrazia il presidente algerino e dice: “Ho dimostrato una cosa semplicissima: Imane è Imane”. Ma non, ancora, di essere una donna o un uomo.