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Netflix, Baby Reindeer abbatte i cliché: anche gli uomini subiscono violenza, ma non se ne parla mai

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

13 aprile 2024

Netflix, Baby Reindeer abbatte i cliché: anche gli uomini subiscono violenza, ma non se ne parla mai
Baby Reindeer è una nuova serie british disponibile su Netflix dall'11 aprile. Dramedy dalla trama imprevedibile, racconta un tema reale ma poco o nulla preso in considerazione: anche gli uomini subiscono violenza e molestie. E le donne possono essere aguzzine psicotiche e manipolatrici. Solo, a nessuno interessa sentirne parlare perché non è trend e non fa views. Quindi ogni giorno facciamo tutti finta di niente. E va bene così?

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Non certo la più sponsorizzata tra le nuove uscite Netflix del mese d'aprile. Dopotutto il titolo di punta è stato il mefitico teen drama fantasy Fabbricante di Lacrime, non è che ogni cosa meriti una campagna marketing ad hoc. Comprendiamo che gli uffici stampa debbano respirare anche loro, povere anime. Baby Reindeer, però, è una serie che vale la pena di guardare. E di cui si dovrebbe davvero parlare. Dramedy in sette puntate ben scritte e recitate, i protagonisti sono essenzialmente due: il barista Donny e un'avventrice del pub, Martha. Si conoscono al bancone, lui le fa una gentilezza perché la vede sola e triste, lei da quel momento sviluppa un'ossessione maniacale nei confronti del ragazzo. Ragazzo che, senza nemmeno rendersene conto, si ritrova ben presto ad aver paura di uscire di casa, temere per i propri cari, vergognandosi molto per una situazione di stalking e molestie fuori controllo da cui non sa come uscire. Dopo mesi di piccole e grandi scocciature continue (messaggi, mail, minacce, perfino una aggressione sessuale) Donny si decide ad andare dalla polizia, come vediamo già nella prima scena. Cosa succede? Le forze dell'ordine gli ridono in faccia. Il tono del racconto è volto alla commedia, e infatti in un certo senso è divertente seguire le disavventure che a Donny tocca subire, sempre più bizzarre e imprevedibili. Fa sicuramente sbellicare molto meno, invece, realizzare che le sciagure che capitano al personaggio succedano anche al di fuori della fiction. Solo che non interessa a nessuno e quindi nessuno né scrive (o viceversa?) con particolare interesse perché per trend le donne sono sempre vittime e gli uomini carnefici a prescindere. Non esiste alternativa a questa narrazione, nonostante i fatti dicano ben altro. Rimanendo, quando va bene, inascoltati. Oppure derisi. Andiamo avanti così? 

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Martha è una quarantenne sola che piange in un pub. Pure sovrappeso, bella ciaciona, dà subito l'idea del personaggio "buono", sopra le righe, quella che per cliché t'ammazza dal ridere appena la vedi comparire in una serie tv. Il barista Donny è un comico fallito, emaciato, vivacchia come può. Le si avvicina per chiederle l'ordinazione, lei tra i singhiozzi gli fa capire di non avere soldi per potersi permettere nemmeno una tazza di tè. "E allora offre la casa", dice lui, mosso a compassione. Da quel momento, se la ritrova al bancone ogni giorno. Fino a quando stacca il turno. Lui non la caccia via perché gli sembra una cosa da niente, anzi, i racconti di lei, palesemente mitomane e matta col botto, lo divertono pure. Un modo come un altro per passare il tempo facendo un lavoro che non gli interessa per niente, ma tocca campare. Anche se prende a chiamarlo affettuosamente "Baby Reindeer" ("Piccola renna", ndr) con una confidenza che alle volte lo scoccia un po'. E così le settimane passano, fino a che, di piccola gentile concessione in piccola gentile concessione, il nostro si ritroverà tempestato di messaggi e mail dal tono a volte dolicissimo, il minuto dopo smaccatamente minatorio. A intermittenza. Comunque, mai richiesti. Martha scopre il suo indirizzo, lo segue dal bar fino a casa, una notte lo aggredisce sessualmente, è convinta di essere la sua fidanzata. Donny comincia a temere per se stesso e per le persone a cui vuole bene viste alla stregua di pericolosi ostacoli da Martha, non sa come levarsi di torno questa sciagura ossessionata da lui. Ma non ne parla con nessuno perché si vergogna. Anche di fronte alla polizia - ci andrà dopo sei mesi, non sa bene come spiegare cosa gli stia capitando, inciampa sulle parole, cerca di minimizzare perfino mentre denuncia. È in profondo imbarazzo. 

Ma qui siamo in una fiction, nulla di quanto stiamo vedendo sta succedendo davvero. Eppure, accade tutti i giorni, nell'hic et nunc della vita reale. Il solo fatto di pensare che le donne possano essere aguzzine violente e psicotiche fa sorridere. Come fa sorridere l'idea che un uomo non riesca a "difendersi da una femmina". Ciò nonostante il fatto che conosciamo tutti almeno un amico o un ex compagno di classe delle medie "rovinato" dalla fidanzata stronza, dalla ex, in certi casi dalla madre. Però no, i social e le principali testate nazionali raccontano su scala quotidiana, con francamente disumana dovizia di particolari horror, casi di cronaca in cui la donna è sempre vittima, mentre l'uomo inverecondo colpevole. E il problema esiste, esiste eccome. Solo che dandogli giustamente spazio, si tiene nascosta l'altra metà della mela (marcia): prendendo uno dei peggiori esempi possibili, l'acido non è che non corroda la faccia e il corpo dei maschi. Solo che nessuno di loro diventa Lucia Annibali. A malapena, quando a uccidere, sfregiare o abusare è una donna, la notizia trova spazio nei trafiletti di qualche quotidiano, per non parlare del web dove il fatto viene riportato alla vigliacca, giusto per, tanto non fa click. E allora chissenefrega. Non è questo che la gente vuole (o deve) sapere. 

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Un post condiviso da Casarotto Ramsay & Associates (@casarottoramsay)

Il fatto è, oggi e sempre, che non saremo pronti nemmeno a cominciare un dibattito serio e sensato sulla violenza fin quando crederemo così ardentemente alla bella favoletta che i comportamenti psicologicamente o fisicamente aggressivi dipendano da ciò che una persona tiene in mezzo alle gambe. Bisogna, c'è proprio urgenza, spostare il focus su altre parti del corpo, magari spingendosi verso la testa. Sarebbe bello, anzi equo, un mondo in cui finalmente si riesca a parlare di "soggetti", "individui" violenti, senza connotazioni sessuali di sorta. Che, infatti, c'entrano poco e niente. Invece, hic et nunc, viviamo in un paradosso tale per cui se una femmina tradisce è una che ha capito come si campa, se il fedifrago è un uomo, ci sarebbe da linciarlo in pubblica piazza, lui e tutta la sua specie di "narcisisti patologici" che tanto un giorno o l'altro come minimo stupreranno pure, è la loro natura. O almeno così è a livello di percepito popolare. E il percepito popolare pesa, pesa molto più dei fatti. Esistono numeriche terrificanti e in continuo aggiornamento riguardo ai femminicidi. Qualcuno ha mai letto dati e statistiche, pure approssimative, sugli abusi perpetrati dal "gentil sesso" sull'altra metà del cielo? No. Perché non esistono. Qualsiasi possibilità di raffronto, dunque, è a rigor di logica impossibile. 

Se e mentre guarderete Baby Reindeer, vi verrà più volte da pensare che Donny, il protagonista, sembri "una donna". Invece è un maschio, un maschio bianco etero (su per giù) che sta passando lo stesso inferno che, se fosse una femmina, farebbe gran notizia, orrore massimo, susciterebbe indignazione social e sociale. Invece, queste cose succedono anche agli uomini, l'inferno è lo stesso, tale e preciso. Solo, non interessa a nessuno. 

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