“Io non capivo il perché del mio fallimento. Avevo tutto: il talento, il fisico e la tenacia. Eppure...”. Sara Ventura adesso è un'imprenditrice affermata, personal trainer, proprietaria di una palestra di successo. Ma fino a qualche anno fa era tra le migliori tenniste italiane con 15 titoli in carriera. Il 2 aprile è stata ospite da Bianca Berlinguer, nel programma È sempre Cartabianca, e ha lanciato delle accuse precise, pesanti, proprio sul mondo del tennis. Siamo davanti all'inizio di un caso di MeToo anche in questo sport? L'abbiamo chiamata per capirne di più.
Hai raccontato di aver subito delle molestie, quando è successo?
All'epoca in cui giocavo, tra i dodici e i diciotto anni. Essendo tra le migliori giocatrici in Italia venivo convocata in questi college vicino Roma, in cui studiavo e mi allenavo. I metodi educativi usati erano veramente violenti sotto diversi punti di vista. In parte ne parlo anche nel mio libro A testa alta, un libro motivazionale che ho pubblicato 4 anni fa e in cui ho messo dentro un po' della mia vita.
Che cosa intendi con violenti?
Non esiste soltanto la violenza fisica o sessuale, ma anche una violenza verbale, emotiva o mentale. Sono stati anni molto duri, soprattutto perché non avevo una famiglia vicino, che mi potesse sorreggere o difendere. Mia madre è morta quando avevo dodici anni e mezzo; quindi, per me quegli anni sono stati particolarmente duri. Ho sempre avuto un carattere molto forte e sono riuscita a difendermi con gli strumenti che avevo in quel momento, mentre altre giocatrici, con una famiglia più presente, sono andate via dal college perché non reggevano questi metodi.
Hai parlato di molestie psicologiche. E fisiche?
Lo stile educativo era molto violento. Se per esempio un consiglio tecnico secondo loro non veniva seguito o se sbagliavi un colpo o se per loro giocavi male, venivi insultata o ti venivano dati dei castighi. Per il resto dovevi stare molto attenta.
Per esempio?
Se il maestro ti diceva di andare in camera sua perché avevi bisogno di un massaggio, ti dovevi inventare una scusa, dire di stare male o di avere l'influenza. Mi è capitato, in alcuni tornei, di dormire con la racchetta vicino al letto in modo tale da avere uno strumento con cui difendermi, qualora succedesse qualcosa. Era questa la modalità da adottare a cui mi riferivo per non incorrere in problematiche poi difficili da gestire per una ragazza minorenne.
Perché non sei andata via?
Come accennavo prima non avevo dei punti di riferimento. E poi avevo paura delle ritorsioni. Io comunque ero arrivata a essere la numero 250 al mondo, ho battuto diverse giocatrici tra le prime cento.
Cosa vuoi dire?
Che per scalare la classifica internazionale dovevi essere convocata in nazionale e partecipare a dei tornei precisi. Ecco, per paura di non essere convocata in nazionale accettavo metodi educativi discutibili. Ho cercato di resistere.
Spiegaci meglio.
Dormivo con la racchetta vicino, per cui se si avvicinava qualcuno gli arrivava una racchettata nei denti. Stavo zitta quando mi insultavano. Mi facevano mangiare da sola per errori banali, o mi facevano giocare sulla terra nonostante avessi il torneo sul veloce (su superficie dura come il cemento, ndr).
Non hai quindi subito alcuna violenza sessuale, giusto?
Non vorrei andare nei particolari perché adesso per me l'importante è esprimere il senso generale delle pressioni che subivo io e che subivano altre persone.
Hai mai pensato di denunciare il molestatore?
Ormai stiamo parlando di venticinque anni fa. Oggi su questi temi c'è molta più attenzione e sensibilità, allora avevo solo quattordici anni e c'era un altro contesto. I maestri che ci allenavano erano tutti ex campioni. Ed erano loro le figure di riferimento a cui venivamo affidate, per cui sarei dovuto andare dal mio molestatore e dirgli che quella violenza non andava bene. Determinate cose si sapevano ma nessuno faceva niente. Non c'erano controlli né tutela, nessuno si poneva il problema se queste persone fossero preparate per stare tutto l'anno a contatto con delle minorenni.
E le ragazze che si allenavano con te hanno avuto gli stessi problemi?
Sì, diverse, ma ti difendi con gli strumenti che hai.
E con il tuo molestatore non hai mai parlato?
Non era solo uno. Sono cambiati nel corso degli anni e ognuno di loro non si comportava in modo adeguato. Nel momento in cui sono andata via dal college ho cambiato allenatore e non ho mai voluto né vederli né sentirli. Come fai a confrontarti con persone che ti insultano ogni tre secondi?
Come mai hai sentito il bisogno di sfogarti adesso?
Perché con il mio lavoro sto attenta a temi quali l'inclusività, la comunicazione etica rispetto al corpo, l'empowerment femminile. E penso che ci sia ancora molto da fare su questi argomenti. Più se ne parla più chi subisce violenze di qualsiasi tipo troverà il coraggio di denunciarle. Alla fine, oggi come allora funziona sempre che è la persona offesa a sentirsi sbagliata o inadeguata, e non va bene. Da donna omosessuale so perfettamente che sessismo, discriminazione e violenza sono ancora presenti nel 2024.
Tu hai detto che questo ha inciso molto sul tuo rendimento.
Tantissimo. Solo adesso si parla di salute mentale, ma ascoltate le dichiarazioni di Sinner: lui dice sempre che è molto importante avere la famiglia e l’allenatore vicini, che è importante non essere esposti sui social, avere una vita serena e tranquilla per poi reggere la pressione in campo. Nella mia carriera ho battuto la Davenport, che è stata la numero uno del mondo, o la Perfetti, la numero 60. Ma non sono riuscita a emergere. Sono stata anni ad elaborare quello che per me è stato il fallimento della mia carriera. Non mi davo una spiegazione.
Perché fallimento?
Avevo il talento, avevo il fisico, mi impegnavo tantissimo, il sacrificio non mi spaventava. Ma psicologicamente non stavo bene.
In un'altra intervista hai parlato di patriarcato. Cosa volevi dire?
Che l'educazione violenta e sessista è una conseguenza di millenni di patriarcato. Se il problema della violenza è del sistema, la risposta deve essere necessariamente politica in senso più ampio, perché non è solo un problema di violenza nel mondo dello sport. C'è stato il MeToo nel teatro, quello delle attrici, delle ginnaste…
Nella tua nuova carriera professionale, avendo aperto una palestra a Milano, hai trovato una rinascita?
Sì, perché quello che sto facendo io nel mio lavoro è diventare il coach che non ho mai avuto. Adesso, oltre ad aver appena finito il mio secondo libro, ho registrato il marchio “bodyecology”.
Che cosa sarebbe?
La comunicazione etica rispetto al corpo e all'allenamento. Il linguaggio e gli atteggiamenti corretti da tenere nei vari contesti. Oltre al lavoro di allenamento personalizzato che svolgo, faccio questi corsi di formazione non solo a livello tecnico ma anche comunicativo. Nel termine “bodyecology” ho sintetizzato tutti quei termini che vanno dalla body neutrality, alla body comparison.