Mario Giordano, nel suo nuovo libro “Dynasty. Dagli Agnelli ai Del Vecchio, dai Benetton ai De Benedetti: il crollo delle dinastie dei potenti”, analizza la crisi delle grandi famiglie industriali italiane, tra cui la famiglia Benetton. Il giornalista e conduttore di Fuori Dal Coro ne ha presentato un'anteprima sulla Verità, sottolineando come l'avidità e l'eccesso abbiano contribuito al loro declino, evidenziando episodi come le feste sfarzose organizzate a Cortina subito dopo il crollo del ponte Morandi, tragedia che causò 43 vittime. Questo comportamento ha suscitato indignazione nell'opinione pubblica, mettendo in luce una mancanza di sensibilità e responsabilità da parte della famiglia. Nello specifico della tragedia genovese, Giordano non va per il sottile: “Quarantatré persone uccise dai lavori non fatti. Dalle manutenzioni saltate. Dai risparmi forzati. Dai controlli mancati. E loro, i Benetton, [...] che avevano spremuto la gallina dalle uova d'oro fino all'ultimo pedaggio [...] quella sera non hanno trovato di meglio che festeggiare”. L'accusa è forte, ma adeguata ai fatti. “Festeggiano sui cadaveri”. Prima con un ricevimento a Cortina, la sera stessa del crollo, e il giorno dopo “una grigliata sul prato, risotto e branzino al forno”. Una scelta assurda, a livello morale e di immagine, tanto che alcuni manager del gruppo avrebbero in seguito affermato che la famiglia Benetton “l'hanno ammazzata le feste di Cortina”.

Giordano analizza anche i fallimenti imprenditoriali di Luciano Benetton e l'ambiguità delle scelte del figlio, evidenziando come tali dinamiche abbiano contribuito al declino della dinastia. “Quando a Treviso si scoprono i buchi di bilancio e si organizzano piani per la riduzione dei dipendenti, loro si trincerano dietro nuove alchimie contabili per non rinunciare ai piccoli e grandi privilegi cui sono abituati”. Tanto che, come riporta Giordano, il manager Gianni Mion aveva affermato: “Non capiscono un caz*o. Sono indegni. Vogliono solo i soldi. E pensano ai caz*i loro”. Il paradosso, continua il giornalista, è che hanno “costruito un impero sulla comunicazione e, di fronte a quarantatré morti, non hanno saputo dire una parola. Hanno lanciato messaggi di fratellanza a tutto il pianeta e poi, di fronte alla difficoltà, hanno iniziato a scannarsi in famiglia”. E anche dal punto di vista imprenditoriale le cose non vanno meglio: “l'azienda dei maglioni è diventata ormai una briciolina. Un dettaglio. Un residuo marginale. Rappresenta meno del 2 percento del fatturato totale del gruppo”. Al punto che il 25 maggio del 2024 Luciano lascia.

Le grane passano ad Alessandro, che “nelle interviste celebrative del Corriere fa di tutto per mostrarsi sensibile, delicato”, anche se le intercettazioni della Procura di Genova dimostrano che “durante la tragedia si preoccupava di una cosa sola: dei quattrini”, che in una telefonata venivano definiti “addirittura sacri”. Come se esistessero due Alessandro Benetton, affonda Giordano, quello pubblico e quello privato. “Basta sentire i manager del gruppo”, che parlavano del titolare con frasi come: “Va in giro a sfigheggiare”, “Pensa di essere il migliore ma non lo è”, “Fa solo casino” o “È un paraculo”. Da un'altra intercettazione, fin'ora rimasta inedita, risulta che perfino un altro Benetton, Gilberto, fratello di Luciano, avrebbe sparato questa frase più che perentoria: “Non fate Alessandro presidente”. Evidentemente non lo hanno ascoltato, chiude Giordano. Con tutto ciò che ne è conseguito.

