Alfredo? E chi è Alfredo? Domanda sbagliata. Cos’è Alfredo, semmai. È la pasta al burro e parmigiano inventata a Roma, romana, romanissima, romana de Roma, che qualche incolto - tocca sentire anche questa - pensa sia americana (sic, googlare per credere, mortacci loro). Ma dal 19 dicembre scorso è anche il nome di una nuova sezione del sito di Rolling Stone Italia. Un’altra offerta al dio della cucina mediatica, imbandita in tutte le salse e in tutti i retrosapori in ogni pertugio dell’intrattenimento giornaliero? No, tutt’altro. “È proprio perché il cibo fa ormai parte della cultura pop che nessuno riesce a concretizzarne la resa editoriale come un fenomeno pop”, puntualizza Marianna Tognini, la responsabile del progetto tutto italiano. Dimenticatevi le ricette, scordatevi le recensioni di ristoranti, fate pausa dalle spiegazioni su rava e fava del piatto vattelapesca che tanto non mangerete mai: su queste pagine online trovate articoli su artisti, trend, serie televisive, fatti curiosi, con dentro il food. Che è una cosa diversa.
Per l’esattezza, si chiama ibridazione. Ovvero mischiare i generi tenendo come comun denominatore, o meglio come fil rouge, l’atto più elementare ma, oggigiorno, anche il più sofisticato che esista: mangiare. Del resto se si vuole realizzare una testata sul food non si possono battere strade già battute, quelle tradizionali. Perciò Rolling Stone ha deciso di parlarne con gli occhi di Rolling Stone. Ad esempio, per dirne una, approfondendo l’abitudine consolidatasi di recente di cenare presto. Da sempre considerato un residuo da ante-boomer, da nonni con orari da caserma, adesso la cena entro una certa è diventata the new black, una tendenza segnalata già dal New York Times e adottata prontamente dalla ristorazione, che s adegua alle nuove consuetudini popolari. Cose banali? I costumi che cambiano non lo sono mai. E poi dipende da come si trattano gli argomenti: “Il taglio, per capirci, è quello di trattarli come se si scrivessimo di un album di musica”, ci dice la Tognini.
E quindi sotto con le pagelle, ma anche con le interviste, ideali per realizzare delle digital cover, storie di copertina sullo stile di Rolling Stone. Con chef, certo, ma non solo: produttori, sommelier e personaggi gravitanti nel mondo della buona forchetta, visti e raccontati come fossero delle rockstar. Cioè con shooting ad hoc e concept conseguenti, e testi in cui la pappatoria è l’elemento di partenza e al più di conclusione, non esaurisce il tutto. In altre parole, non interessa qui il modo di fermentazione del vino nella zona tal dei tali. Si preferisce prender spunto, poniamo, dal Lambrusco regalato da Berlusconi a Putin per aprire una finestra sul boom della varietà italiana più venduta nell’orbe terracqueo. Con uno sguardo privilegiato, come si intuisce, a tutto ciò che si muove all’estero. Tanto che Alfredo ha una doppia anima, anzi, una doppia lingua: italiano e inglese. Sia nel sito che su Instagram che in una landing page separata (alfredomag.com), ogni settimana viene tradotto un articolo nella dichiarata ambizione di trasformarsi in un magazine internazionale. Per la serie: azzerare i confini in tutti i sensi.
Certo è che comunque resta arduo proporsi in un panorama così saturo d’offerta, con questa crapula rabelaisiana di riviste, trasmissioni e canali traboccanti di vivande. La differenza operativa, per dir così, in Alfredo la fanno la cassa di risonanza e il parco di personalità dell’orbita rollingstoniana, ovvero musicisti, attori, registi, content creator. Il target è il medesimo della testata-madre, quel che si cerca di ottenere è ritagliarsi una nicchia rivolta non soltanto agli appassionati di cibo. Tanto che, tra le firme della sezione, due soli sono giornalisti specializzati, gli altri sono giornalisti di costume. Anche se, alla fine della fiera e come per tutto, la differenza vera “la fanno le idee” (sempre la Tognini). Linea editoriale, tone of voice, taglio e mood di Rolling Stone, ma applicati a tutto quel che c’è da captare con il filtro food.
Ma ci sarà anche un po’ di pepe, un po’ di sana critica, per esempio ai cuochi-celebrities di cui “non se ne può più” (cit. Aldo Grasso)? Certamente, ma con ironia. Per esempio, nella prima cover dedicata allo chef Matias Perdomo l’autrice, Guia Soncini, ha colto l’occasione per confezionare un ritratto un po’ straniante, in cui la sua cucina gourmet emerge, in senso stretto, solo parzialmente, indugiando piuttosto su aspetti simpaticamente censurabili, come il fatto che decida lui cosa deve mangiare il cliente. Niente marchette, dunque. Ma neanche la fissa per i nomi altisonanti o le mode fighette: in preparazione c’è una rubrica sulle migliori/peggiori osterie fuori porta dove rifugiarsi, o non rifugiarsi, per il pranzo domenicale, per dire. O un’altra sui baracchini con i panini tradizionali, con la milza o il lampredotto, o… Ad Alfredo, insomma, piace di tutto un po’. A proposito: ma perché proprio Alfredo? Perché la pasta semplice e buonissima ideata da Alfredo Di Lelio nel 1907 è il comfort food per eccellenza, simbolo mondiale di italianità e naturalmente perfetto per mescolare locale e globale. Su Alfredo c’è pure un’intervista all’unico uomo vivente che ha lavorato con l’Alfredo originale, il nipote Maurizio Berni. Leggetivilla.