La scena cambia, ma la belva resta la stessa. Francesca Fagnani, ormai volto istituzionale del prime time di Rai2, si lancia nel territorio più delicato, affascinante e infido della televisione: la cronaca nera. Lo fa con il nuovo spin-off “Belve Crime”, in onda dal 22 aprile, lasciando da parte i divi del jet set per accendere i riflettori su colpevoli, vittime e testimoni dei casi giudiziari che hanno ossessionato l’Italia. “Un viaggio nella mente di chi sbaglia, di chi ha attraversato il male o lo ha inferto al prossimo”, lo ha definito. Ed è qui che il paragone con Franca Leosini è inevitabile. La Leosini ha inventato un genere. “Storie Maledette”, in onda dal 1994, è diventato culto. Lì dove il giornalismo si fondeva con la prosa alta, i condannati con la macchina del tempo, e le frasi come “ardori lombari” e “sentimentalmente genuflessa” sono entrate nel lessico nostrano. Una messa in piega e mille sentenze. Intervistava i colpevoli senza emettere giudizi, ma mettendo ordine nel caos, in quello che lei stessa chiamava “il grande romanzo della vita”. La Treccani ha coniato il termine “Leosiner”, a testimonianza del culto. Non solo una giornalista: un archetipo.

Ora, però, arriva la Fagnani. Meno barocca, più tagliente. Meno calligrafica, più frontale. Con “Belve Crime”, porterà il suo stile essenziale, quello sgabello nudo, quelle pause cariche di tensione, dentro le pieghe più scure dell’animo umano. E a differenza della Leosini, che parlava quasi sempre con il condannato, Fagnani vuole allargare la scena: familiari, testimoni, e forse, si spera, anche le famiglie dei carnefici. “Su quello sgabello verrà ascoltato il punto di vista di chi, in un modo o nell’altro, sulla scena del delitto c’era”, ha annunciato. Il focus, quindi, non sarà soltanto il reo confesso, ma tutto ciò che gravita attorno al crimine. Un cambio di paradigma. Non cerca lo scandalo, dice lei. Ma il cortocircuito emotivo sì. Perché Fagnani ha imparato, con Belve, a stanare le contraddizioni, a mettere a disagio con una domanda secca più che con un lungo preambolo. E in un’epoca in cui il true crime è diventato un genere globale, e i podcast di cronaca nera impazzano, la televisione pubblica italiana si gioca un colpo ambizioso: passare da Franca a Francesca, con un format che già di per sé ha il potenziale per diventare uno dei punti di svolta del palinsesto Rai.

Resta però la domanda di fondo: può davvero Fagnani prendere il posto di Leosini nel cuore degli appassionati del noir? La verità è che nessuna può sostituire l’altra. Leosini è un monumento, Fagnani un’altra razza di belva. Ma forse, è proprio questo il punto. Il crime italiano, oggi, non ha bisogno di una copia. Ha bisogno di un linguaggio nuovo. Di una violenza meno estetizzata, più spogliata. Meno da camera iperbarica e più da interrogatorio sul campo. E allora sì, può funzionare. Perché la Leosini ha un linguaggio semplice ma non banale, la capacità di arrivare a qualunque tipo di pubblico. La competenza di chi, in fondo, nasce come giornalista d’inchiesta. E forse l’aspetto più difficile è proprio quello di passare dall’intervista al figlio di un boss alla Flavia Vento di turno, ma lei l’ha già riuscita. Perché quello che la Fagnani non ha mai cambiato è la maniacalità in cui studia i fenomeni e il modo diretto in cui li porta al pubblico del piccolo schermo.