Nel 2014 papa Francesco, secondo quanto scriveva lo storico vaticanista Sandro Magister su L’Espresso del 14 aprile di quell’anno, muoveva tre “rimproveri” ai neocatecumenali. In breve, il pontefice li richiamava sulle conflittualità con i vescovi, sul modo a volte troppo tranchant con cui i loro missionari si rapportavano alle culture locali nel mondo e, punto più spinoso di tutti, il trattamento dei loro stessi aderenti, che avrebbero troppa pressione addosso, per non parlare di quelli che scelgono di lasciare le comunità. In questi giorni la cantante Madame ha rivelato di aver fatto parte dei neocatecumenali, descrivendolo come “un genere di ambiente difficile, in cui devi avere consapevolezza di quello che sta facendo” (ma aggiungendo anche, fra il serio e il faceto, che “c’erano belle canzoni, il fondatore è spagnolo e ha riarrangiato tutti i salmi con ritmi latini… Sono dei canti incredibili, voglio sposare qualcuno, stonato, che me li canti mentre vado all’altare”). Chi sono i neocatecumenali? E perché sarebbero un “ambiente difficile”, per citare Madame, talché lo stesso Bergoglio ha sentito la necessità di strigliarli?
Il “Cammino Neocatecumenale” – questo il nome ufficiale – non è un movimento o un’associazione, ma un gruppo, presente in 134 nazioni, con più di 21 mila comunità e oltre 1600 famiglie in missione, sparso all’interno di migliaia di parrocchie della Chiesa Cattolica, di cui fanno parte con fedeltà e, come si dice, sottomissione, al servizio dei vescovi per “riportare alla fede tanta gente che l’ha abbandonata”. L’aggettivo catecumenale deriva infatti da catechesi, che è l’insegnamento, e di conseguenza l’apprendimento, della fede cristiana. San Giovanni Paolo II, nel dare il suo riconoscimento, lo definì “un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e i tempi odierni”. In sostanza, il “cammino” è un percorso a tutti gli effetti iniziatico, cioè a tappe progressive, con cui l’adepto si converte per raggiungere un livello di adesione alle verità evangeliche di una rigorosa pienezza, così da convertire a propria volta. In parole povere, i neocatecumenali si potrebbero anche chiamare laici neo-convertiti. Infatti si rivolgono primariamente ad adulti o comunque a persone già battezzate, e si organizzano in piccole comunità, a loro volta strutturate avendo come cellula-base la singola famiglia. Fondato negli anni ’60 dallo spagnolo Francisco José Gómez Argüello Wirtz, detto Kiko, ex pittore ateo che, convertitosi, andò a vivere nelle baraccopoli alla periferia di Madrid e, conosciuta lì Carmen Hernández, con lei elaborava la concezione di fondo (“sintesi kerigmatico-catechetica”) che avrebbe poi ispirato la nuova realtà, il Cammino si estesa, grazie all’iniziale spinta dell’allora arcivescovo di Madrid, Casimiro Morcillo, in terra iberica per trasferirsi poi a Roma, da cui si irradiò in Italia e nel resto del mondo. Un primo crisma da parte della Chiesa fu del 1974, quando la Congregazione del Culto Divino attribuì il nome che rimase poi definitivo, ma occorsero parecchi anni prima di arrivare a uno Statuto che consacrò una volta per tutte il gruppo come parte integrante del mondo ecclesiale, in linea con il magistero. Nel 2008 venne infatti approvato con pontificio decreto, e da allora certe accuse da parte delle gerarchie ecclesiastiche cessarono quasi del tutto.
Negli anni ’80 e ’90, infatti, non furono poche le voci critiche di prelati riguardo certi aspetti della vita neocatecumenale. Già nel 1983, Giovanni Paolo II in un discorso li aveva esortati a “non isolarsi” da quella delle parrocchie e delle diocesi, segno che una certa tendenza dovevano averla. Nel 1986, il vescovo di Brescia, Bruno Foresti, sottolineava che fra le loro comunità era diffuso “un clima di soggezione psicologica e un’atmosfera di esclusivismo”, non senza una “disattenzione ai richiami del vescovo”. Nel 1995, il cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli, li accusava di “rigidità e chiusure”, arrivando a “credersi migliori degli altri” appartenenti alle diocesi. Nel 1996, il cardinale di Palermo, Salvatore Pappalardo, vietò loro di celebrare “messe precluse agli altri fedeli”, ammonendo che “il Cammino, da solo, non è la Chiesa”. Per riassumere, i motivi di tensione riguardavano (e c’è chi sostiene che riguardino ancor oggi, sia pur meno acutamente) la liturgia, cioè di praticare cerimonie con modifiche rispetto a quella comunemente in uso nelle normali messe, e il piano pastorale, ovvero il contenuto degli insegnamenti (la catechesi), che denoterebbero un’abitudine ad appartarsi, dando importanza maggiore ai laici che ai sacerdoti, e a un impegno eccessivo, a cominciare dalla durata del percorso. In più, sono state pubblicate negli anni testimonianze di fuoriusciti che parlano di plagi psicologici e, più in generale, di una religiosità dall’intransigenza per certi versi opprimente, che dall’esterno si potrebbe definire settaria. Veri o no che siano questi casi, è plausibile che le regole che animano i neocatecumenali possano prestarsi, com’è umano che sia, a distorsioni caratteristiche dei gruppi ristretti in cui vige il principio di iniziazione, per cui ci si eleva nella coscienza spirituale e per ciò stesso ci si sente “eletti”, investiti di qualità superiori acquisite con uno sforzo psicologicamente anche arduo da sostenere. Di qui i paragoni, dottrinalmente sballati ma, sotto il profilo esistenziale, teoricamente non peregrini con Scientology.
Il “cammino” inizia in parrocchia su invito del parroco, con una serie di incontri serali con cui l’aspirante neocatecumenale si approccia alle catechesi, e la prima fase si conclude con una convivenza di qualche giorno. Alla fine del ritiro spirituale chi intende continuare forma la comunità, che settimanalmente celebra la Parola di Dio. Prima dell’omelia, il presbitero chiama chi lo desidera fra i presenti a esporre ciò che la Parola ha significato nella sua vita. Una volta al mese è prevista una giornata di convivenza, e anche qui i partecipanti sono chiamati a esprimere davanti a tutti come hanno vissuto la fede in quel periodo. Tutto questo fa parte del pre-catecumenato, che dura due anni, in cui l’adepto, attraverso le Scritture, si svuota del proprio sé precedente e si immerge nella conversione. Nei due anni successivi si prosegue l’opera fino a quello che viene detto secondo scrutinio battesimale, in cui si rinuncia al demonio e alle sue tentazioni per diventare servitori di Dio. Dopodichè si entra nel catecumenato vero e proprio, in tre gradi: 1) preghiere personali e letture collettive di salmi; 2) ri-consegna del Credo per predicarlo, a due a due, in giro per le case della parrocchia; 3) ri-consegna del Padre nostro, e da questo momento, durante l’Avvento e la Quaresima, cominciano a celebrare in comunità, prima di andare al lavoro, le Lodi e l’Ufficio delle Letture. I neocatecumeni rinnovano le promesse battesimali nella Veglia Pasquale, presieduta dal Vescovo, e in tale occasione indossano le vesti bianche, in ricordo del proprio battesimo. Ogni domenica la singola famiglia allestisce la tavola di casa come un altare, cantando i salmi con accompagnamento musicale (di solito, una chitarra, e qui c'è un lato gioioso, allegro), e con i genitori che proclamano la Parola. I figli dicono quel che essa ha loro suggerito, e si chiude con una preghiera spontanea, un saluto di pace e la benedizione del padre. Ora, è evidente che il sistema degli scrutini, sorta di esami per vagliare il grado di consapevolezza, cioè se si è pronti o no a passare alla tappa dopo, in cui si devono in pratica raccontare dei fatti privati, nonché l’autofinanziamento che prevede contributi volontari ma necessari, può caratterizzare l’esistenza delle comunità neocatecumenali come microcosmi esclusivi, potenzialmente intolleranti per chi dovesse abbandonarli, il che a qualche vescovo ha dato l’impressione di una separatezza inaccettabile per la logica interna, strettamente gerarchica, della Chiesa. Ma questo, sia detto in partibus infidelium, è un rischio consustanziale, ossia connaturato a ogni realtà fondata sull’iniziazione, che infonde quell’orgoglio che è tipico dei “risvegliati”. O, in questo caso, dei battezzati due volte.