Avevamo appena finito di parlare del fallimento di Ki Group e del commissariamento di Visibilia Editore, che è di nuovo ora di parlare di Daniela Santanchè, e se lo facciamo è perché si tratta, ancora, di un'azienda in fallimento. Questa volta è il turno di Biofood Italia srl, facente parte di Ki Group, già in stato di liquidazione giudiziale da inizio anno, nonché indagata dalla Procura di Milano. Biofood nasce a novembre del 2010, e finisce nello stesso modo in cui è finita Visibilia. Il modus operandi fallimentare delle aziende collegate a Daniela Santanchè sembra sempre essere il medesimo. Errare è umano, perseverare anche. Il problema è che a forza di perseverare, le cose possono saltare all'occhio anche dei non esperti in materia, figuriamoci dei magistrati. Repetita iuvant, dicevano i Romani, e anche se questo non vale per ciò che ripetono le aziende della Santanchè, vediamo in che cosa consiste questo metodo nichilista e masochista, orientato al fallimento di qualunque tipo di business. Per quello che può servire, siamo andati a sbirciare il sito di Biofood. Un negozio di articoli biologici come tanti: cibo, detersivi, articoli per la casa, hummus, eritritolo, magnesio supremo, succo di noni, bucce di psillio macinate e un sacco di altre cose i cui nomi sembrano usciti dal manifesto Dadaista di Tristan Tzara. Non sarà un mercato di punta, ma nemmeno una nicchia: le cause del fallimento non possono certo rintracciarsi in una curvatura astrale del mercato di riferimento. Cosa è successo, allora? Perchè anche Biofood è fallita, seguendo nella cattiva sorte le altre aziende di Daniela Santanchè?
"Tutti gli uomini gridano: c'è un gran lavoro distruttivo, negativo da compiere: spazzare, pulire. Senza scopo nè progetto alcuno, senza organizzazione: la follia indomabile, la decomposizione", diceva Tzara nel manifesto Dada. Debiti, debiti, sempre debiti. Debiti da risanare, spazzare, pulire. Senza scopo né progetto alcuno. Vi ricordate della galassia Visibilia? C'era Visibilia Editore, Visibilia Concessionaria, e altre ancora. Società tecnicamente diverse, sostanzialmente identiche. Qui ci sono Biofood e Bioera. Bioera è quotata in borsa. Daniela Santanchè è la presidente di Bioera. Carlo Giovanni Mazzaro, ex compagno della ministra, ne è l'amministratore delegato. Bioera ha un portafoglio di partecipazioni in aziende attive nella distribuzione di prodotti alimentari e nel settore dei cosmetici di derivazione naturale, tra cui Ki Group e la stessa Biofood. Bioera detiene anche il 40% di Visibilia srl. Il mondo è piccolo. Nel 2011 Bioera ha un fatturato di 43,4 milioni di euro. L'indebitamento di Bioera nel 2018 è di 9,1 milioni di euro. La follia indomabile, la decomposizione, diceva Tzara. Dadaismo finanziario. Chiamiamolo così, tanto per dare un valore artistico a questo tipo di management spensierato, quasi amatoriale.
Qui interviene il metodo già attivato per Visibilia. Come riportato da La Stampa, Biofood si fa carico, nel 2011, dei debiti che Bioera ha nei confronti del Monte dei Paschi di Siena, banca MPS, per un ammontare di oltre 5 milioni di euro. Per farsi carico del debito, ha aumentato il capitale, versando nelle casse della società una somma pari all'entità del debito stesso, garantito dalle azioni emesse. In questo modo si riesce a ottenere dalla banca una rateizzazione, con la prima scadenza ben 8 anni dopo, nel 2019. Nel frattempo, però, il tempo passa, e Biofood non paga nessuna delle rate. Facendo così, si ottiene di deteriorare il credito, i cui interessi raggiungono i 10 milioni di euro. A questo punto la società viene rilevata da Amco, una controllata del Ministero dell'Economia, la quale tenta di riscuotere il credito e porta Biofood al cospetto del Tribunale Fallimentare. Amco si sfila dall'operazione, e tutto va finire in mano alla Procura che già sta indagando su Visibilia, i pm chiedono la liquidazione giudiziale, ovvero il fallimento, di Biofood, e siamo di nuovo punto e a capo. In tutto questo, Daniela Santanchè dice alla stampa di essere contenta del commissariamento di Visibilia, perché farà chiarezza sull'accaduto, "Anche perché faccio impresa da 30 anni e prima di diventare ministro non ho avuto nessun problema con nessuna azienda", ha aggiunto. La sua tesi, probabilmente, è quella dell'attacco politico, ma non sarà che, da quando è diventata ministro ha abbandonato le proprie aziende? Ha smesso di occuparsene come si deve? A questo non possiamo rispondere, però i fatti ci dicono che stiamo continuando a parlare dei fallimenti delle sue aziende. Aspettiamo la prossima.