È il pomeriggio di mercoledì quando, durante il question time della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Parlamento irrompe un fantasma: è il deputato di +Europa Riccardo Magi, che con una performance da democrazia dell’audience si mette un velo bianco e scende dai banchetti prima di essere braccato dagli addetti della Camera e accompagnato fuori. Magi si traveste da fantasma perchè da fantasma sarebbe stato trattato dal governo il referendum dell’8 e 9 giugno. Secondo l’opposizione, infatti, la maggioranza starebbe tentando di sabotarlo attraverso una campagna per l’astensione. “C’è un vulnus di democrazia”, ha detto lo stesso Magi, citando l’informazione scarsa o pressoché assente che il servizio pubblico starebbe facendo in merito ai temi e quesiti della consultazione popolare. Più tardi è arrivato l’Agcom, il Garante delle comunicazioni, che ha emesso un provvedimento di richiamo nei confronti della Rai e di tutte le emittenti televisive e radiofoniche nazionali affinché garantiscano un’adeguata copertura informativa. È mai possibile che la politica abbia trasformato anche il referendum, il più importante strumento di democrazia diretta con cui il popolo può decidere direttamente sulle questioni, in un terreno di scontro da strumentalizzare?

Il silenzio, soprattutto televisivo, che si è fatto sui referendum, rende necessario fare un passo indietro. L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare su 5 quesiti. Si potrà votare domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. Si parlerà di cittadinanza e, soprattutto di lavoro. Si tratterà di un referendum abrogativo, quello cioè in cui chi vota decide se approvare o meno la cancellazione totale o parziale di una legge. A regolare i referendum abrogativi è l’articolo 75 della Costituzione, secondo cui l’esito del voto sarà considerato valido solo se a votare sarà la maggioranza degli aventi diritto, cioè il 50 per cento più uno. Tra l’altro, per la prima volta quest’anno sarà ammesso il voto fuori sede, senza obbligare cioè tutti coloro che vivono in un comune diverso da quello di residenza – tra cui moltissimi studenti e giovani – a sobbarcarsi viaggi lunghi e, soprattutto, costosi per esercitare un diritto costituzionale. Chi andrà a votare riceverà cinque schede di colore diverso. Ogni scheda contiene una descrizione della norma che potrebbe essere cancellata in tutto o in parte, e chiede a chi vota se è favorevole alla cancellazione. Per abrogarla bisogna votare sì, per mantenerla bisogna votare no.

Ma quali sono i quesiti? Quattro riguarderanno il lavoro: nella scheda di colore verde, si propone l’abrogazione di uno dei decreti del Jobs act – introdotto nel 2015 dal governo Renzi – che riguarda i licenziamenti illegittimi nei contratti contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Così facendo le aziende avranno l’obbligo di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro in base all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. La questione riguarda i lavoratori assunti dal 2015 in poi in aziende con più di quindici dipendenti, ma è stata oggetto di numerose sentenze della Corte costituzionale e della Cassazione, che hanno stabilito l’incostituzionalità di alcune sue parti. C’è poi la scheda arancione, nella quale si chiede di eliminare il tetto massimo all’indennità dovuta ai lavoratori per i licenziamenti illegittimi nelle aziende con meno di quindici dipendenti, consentendo al giudice di determinare l’importo senza limiti predefiniti. La scheda grigia riguarda invece i contratti a termine e chiede di cancellare alcune norme che reintrodurrebbero l’obbligo, per i datori di lavoro, di giustificare perché assumono un lavoratore con un contratto a tempo determinato più breve di 12 mesi. Nella scheda rosa il tema sono le responsabilità negli appalti, e il quesito chiede di abrogare la norma che esclude la “responsabilità solidale” di committente, appaltatore e subappaltatore in caso di infortunio. In poche, parole, sancisce che i tre soggetti hanno gli stessi obblighi, per esempio di risarcimento, verso chi subisce un danno di cui sono responsabili. Nella scheda gialla è infine contenuto il quesito sulla cittadinanza, nel quale si chiede la cancellazione della norma che prevede dieci anni di residenza legale in Italia per l’ottenimento della cittadinanza da parte di persone maggiorenni nate in un paese esterno all’Unione europea. Se vincesse il sì, tale norma sarebbe abrogata e gli anni necessari si dimezzerebbero a cinque.

Ma la grande incognita che pende sul referendum è la questione del quorum. Secondo Pagella Politica, infatti, a giocare a sfavore della consultazione potrebbero essere tre elementi. Per prima cosa, il trend generale dell’astensionismo. Non scordiamoci che le ultime elezioni politiche, quelle che nel 2022 incoronarono Giorgia Meloni, furono anche le meno partecipate di sempre con il 64 per cento degli aventi diritto presentatisi alle urne. Per quanto riguarda i referendum, invece, “nella storia repubblicana, in Italia si sono tenute diciotto tornate di referendum abrogativi, dal 1974 al 2022: in nove casi non è stato raggiunto il quorum. A partire dagli anni Novanta, è diventata una prassi per i partiti contrari ai referendum invitare all’astensione, piuttosto che a votare No”, continua Pagella Politica. C’è poi la questione del voto all’estero, che nei referendum ha storicamente aiutato gli astensionisti. La scarsa affluenza a questo tipo di appuntamenti, unita al numero crescente di persone che lasciano l’Italia, aumentando dunque il “peso” del voto estero sul totale, contribuisce a rendere più difficile il raggiungimento del quorum. Il terzo elemento è costituito dai consensi della maggioranza. Oggi Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, raccolgono insieme il sostegno di quasi il 50 per cento degli elettori, una quota superiore alla percentuale di voti ottenuta alle elezioni politiche del 2022. Si tratta di un consenso che le opposizioni non sembrano in grado di erodere. L’unica speranza – e forse proprio ciò che la maggioranza vuole evitare – è la possibilità che il referendum divenga un catalizzatore del voto di opposizione. Se gli elettori del Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Alternativa Verdi Sinistra e degli altri partiti convergessero in una misura tale da superare i voti attribuibili alla maggioranza, il referendum potrebbe trasformarsi in un inedito “federatore”. Una prospettiva, ad oggi, lontana, e che dovrebbe comunque tenere conto del dibattito sulla leadership.