Una casa passata al setaccio. Ancora. Una cardiopatia ischemica, il cuore che scricchiola sotto il peso di sospetti e accuse. E un’indagine che, a quasi tre anni dalla scomparsa di Liliana Resinovich, continua a spaccare in due l’opinione pubblica, con un’unica certezza: nessuno, finora, ha trovato la verità.
L’ultima svolta è arrivata con una nuova perquisizione nella casa di Sebastiano Visintin, marito della donna e unico indagato per l’omicidio. Gli inquirenti sono tornati a setacciare l’abitazione, concentrandosi in particolare sul laboratorio dove Visintin affilava i coltelli. Hanno analizzato i consumi energetici, raccolto strumenti da taglio e cercato tracce di metallo. Ma la pressione che lo circonda non arriva più solo dai media o dalla magistratura: adesso sarebbe anche di natura clinica.
"Ben venga ogni ulteriore esplorazione ritenuta necessaria" – scrivono in una nota Alice e Paolo Bevilacqua, i legali di Visintin – "anche se non possiamo nascondere il timore delle ripercussioni che tali passaggi investigativi potranno avere sul compromesso stato di salute di Sebastiano Visintin, che spera solo che il suo cuore debole – affetto da cardiopatia ischemica trattata con rivascolarizzazione coronarica – regga all'ennesima onda di fatto accusatoria e di certo mediatica".
Un’escalation investigativa che, secondo la difesa, rischia di diventare un accanimento. "Non possiamo che esprimere un plauso nei confronti della Procura per l'eccesso, finanche, di zelo investigativo nella ricerca di elementi che comunque con estrema difficoltà potranno essere assunti come 'probatori del fatto'", aggiungono i legali. Con una frecciatina finale: "Rammarico, altresì, per non aver colto quel suggerimento espresso in loco dall’indagato di estendere l’analisi dei tamponi a tutta la casa e non solo alla stanza adibita a laboratorio".
Ma se da una parte c’è il timore per la salute di Visintin, dall’altra c’è la rabbia di chi da tempo aspetta risposte. Claudio Sterpin, l’amante di Liliana, non usa mezzi termini. Ospite di Morning News, attacca: "Se queste perquisizioni fossero state fatte tre anni fa, oggi parleremmo di giustizia fatta". Una frase secca, amara, che sintetizza tre anni di dolore e frustrazione.

Sterpin ha sempre escluso l’ipotesi del suicidio: “Liliana non si è suicidata”. Una convinzione che non ha mai vacillato, condivisa anche dalla famiglia della donna, e che oggi torna con forza ora che le indagini sono state riaperte. A suo dire, i primi mesi furono segnati da “indagini all’acqua di rose”, e la sua relazione con Liliana venne ignorata: “Nessuno conosceva l’esistenza di quel rapporto”, ricorda.
Ora l’attenzione si concentra sui consumi anomali registrati nel laboratorio di Visintin proprio il 14 dicembre 2021, giorno della scomparsa. E su quel buco nella geolocalizzazione del suo telefono, che Visintin attribuisce alla scarsa copertura della stanza-laboratorio. Ma Sterpin non ci sta: “Sebastiano deve spiegare molte cose. Alle 8.24 del 14 dicembre il suo telefono aggancia la cella di casa, ma Liliana era ancora lì. Com’è possibile? Liliana è stata suicidata dalla Procura, non dalla realtà”. Una frase pesante, volta a mettere in discussione l’intero impianto investigativo degli ultimi tre anni. “Abbiamo fatto quadrato – io, i suoi parenti più stretti, gli amici – e detto che la verità è un’altra. E oggi, tre anni dopo, ci stanno dando ragione”.
Per lui non si è trattato di un gesto disperato, ma di un omicidio studiato. “Non penso sia opera di una sola persona. I fatti cominciano a darmi ragione. E quei coltelli? C’entrano lo 0,1 per cento. Ci si perde tempo”, dice con sarcasmo. Poi si fa serio, quasi rassegnato: “Spero solo di riuscire a vedere l’epilogo. Ma temo che la storia andrà ancora per le lunghe”.
