La morte di Pierina Paganelli è un vero e proprio rompicapo. È diventata quasi una serie tv e ancor prima del rinvio a giudizio, se ci sarà, esiste una spaccatura tra innocentisti e colpevolisti. “Io credo che con l’esame del Dna saremo già ad un buon punto. Una volta che venisse fuori – come sono sicura che verrà – che quel Dna non appartiene a Louis si apre uno scenario diverso giocoforza si deve guardare in un’altra direzione”. Queste alcune delle frasi pronunciate dalla moglie dell’unico indagato per l’omicidio della settantottenne ai microfoni di Tatiana Bellizzi, che l’ha intercettata per la trasmissione Estate in Diretta. Nessun dubbio, insomma. Valeria Bartolucci è l’alibi di Louis Dassilva. E non solo. La donna appare ferma e certa che il Dna isolato su quei sette reperti nel garage di via del Ciclamino non appartenga al senegalese. Colpisce la fermezza con cui Valeria difende la posizione del marito. Mai un momento di dubbio o incertezza. La Bartolucci non ha mai vacillato su quella sera e sull’alibi fornito a Louis. Eppure, di motivi per rinnegarlo ne avrebbe avuti. E tanti. Se non l’ha fatto significa che è sicura che l’uomo era in casa mentre Pierina Paganelli veniva trafitta da ventinove coltellate. Un elemento che certamente non dovrebbe essere trascurato da chi indaga. Sulla carta, difatti, tra quelli che sin dall’inizio sono stati definiti come i “sospettati” poteva essere l’anello debole. Tradita dall’amica e dal marito. Nonostante questo, però, ha tenuto fede a ciò che pensa. Ed evidentemente a ciò che sa. Non una considerazione da poco sul piano investigativo. Dato che ha sempre confermato di non essere l’anello debole. È quantomeno un punto di vista. Nel ricostruire a ritroso le ultime ore del condominio, in verità, pochi sono i punti fermi.
Per chi indaga, la certezza è che sulla scena del crimine c’era Louis Dassilva. Ad incastrarlo, il famoso frame di cui abbiamo a lungo parlato. Tirando le fila, però, alcuni elementi non mi sembrano inseriti nella giusta sequenza. Partendo sempre dal presupposto che quel frame, da solo, non è certo in grado di incastrare un assassino sulla scena del crimine. Perché, con tutte le migliorie del caso che possono essere apportate a quelle registrazioni, la regola dell’oltre ragionevole dubbio è dura da superare. Così come i nuovi limiti imposti dalla legge Cartabia. Che stabilisce che la sentenza di non luogo a procedere debba essere pronunciata qualora dagli atti non risulti “una ragionevole prevedibilità della condanna". Ancora non siamo arrivati al momento dell’udienza preliminare. Dunque, in attesa dell’udienza del 9 settembre fissata per il riesame, ripercorriamo alcuni passaggi chiave.
Louis, che secondo Valeria era in casa nei momenti nei quali l’ex infermiera veniva uccisa, doveva essere in possesso di informazioni che difficilmente avrebbe potuto avere. Difatti, lui non era connesso con l’adunanza dei Testimoni di Geova a cui Pierina stava partecipando. Dunque, non poteva sapere a che ora quella sarebbe finita né tantomeno il momento esatto in cui sorprenderla nel garage. Secondo gli inquirenti, questa informazione sarebbe stata recuperata dal senegalese perché dal suo terrazzo quell’ingresso è visibile. La moglie, però, non avrebbe visto neppure l’uomo affacciarsi. In più, Pierina aveva l’abitudine di recarsi all’adunanza con la nipote, la figlia di Giuliano e Manuela. Quella sera, però, era rimasta a casa. Come faceva Dassilva a sapere che la Paganelli era da sola? Informazioni non di poco conto quando si pianifica un delitto. Senza contare che l’unico indagato, se davvero è l’assassino di Pierina, si sarebbe esposto particolarmente. Non poteva avere la certezza da solo che nessuno lo intercettasse in quel garage. Sarebbe potuto scendere chiunque. Erano le 22:00 non le 03:00 di notte. Chiunque, ripeto, avrebbe potuto accedere e beccarlo. Possibile che il killer non abbia contemplato la possibilità di essere intercettato nell’atto sanguinario? Quel frame, di cui ho fatto cenno sopra, è molto poco per incastrare chiunque su di una scena del crimine. L’unico vero discrimine sarà il profilo genetico isolato e amplificato. Già, perché quel profilo sarà in grado di collocare l’assassino non solo nel garage di via del Ciclamino. Ma anche nel momento in cui le coltellate venivano sferrate. Seppur in quantità esigua, difatti, grazie alla tecnologia e all’amplificazione (questo è il termine corretto) dai laboratori di Tor Vergata uscirà un codice genetico comparabile, intanto, con il Dna dell’unico indagato. E poi chissà. Se quel profilo non corrisponderà al nome e al cognome del senegalese potranno esserci altri colpi di scena. Il Dna non mente perché è come il codice fiscale. Ognuno ha il suo.