Via del Ciclamino ormai è quasi famosa come Montenapoleone, ma per motivi chiaramente diversi. Il caso di Pierina Paganelli ormai non è solo un delitto dai contorni sempre più sfumati, ma è diventato la versione crime di beautiful. La scena del crimine del civico trentuno solleva però un dubbio cruciale: chi ha compiuto l'omicidio ha agito da solo, o qualcuno lo ha aiutato a ricomporre il puzzle di quella notte? Al momento, è bene ribadirlo, l’unico indagato per il delitto resta il senegalese Louis Dassilva. La disposizione del corpo è il primo dettaglio che colpisce. E forse tradisce. La testa appoggiata su un giocattolo, i capelli tirati indietro, la gonna sollevata: nulla di tutto questo appare casuale. Sono segnali di un intervento successivo, di una scena costruita con attenzione. A questi elementi si aggiunge un particolare ancora più significativo: la borsa della vittima, chiusa e contenente oggetti sporchi di sangue, sembra raccontare un intervento ordinato e calcolato. Questa precisione, unita al tempo necessario per eseguire simili azioni, difficilmente si concilia con l'agire solitario di una persona, soprattutto in condizioni di rischio. Per intenderci. Io non sono così sicura che chi ha ucciso l’ex infermiera in pensione abbia agito da solo. La scena del crimine appare piuttosto frutto di una messa in scena. E chi è abituato come me a intervenire sa benissimo che lo staging richiede tempo, lucidità e sicurezza: qualità difficili da immaginare in un contesto così delicato per una sola persona. È vero che il garage di via del Ciclamino era poco frequentato, ma è altrettanto vero che l’orario in cui è stato commesso l’omicidio esponeva terribilmente l’autore a essere scoperto. Al contrario, una divisione dei compiti - uno concentrato sulla disposizione del corpo, l'altro sull'ordine degli oggetti - renderebbe più plausibile un intervento così complesso. E allo stato attuale aggiungerei ben riuscito, considerati a oggi gli esiti degli esami genetici sul cadavere della povera Pierina e sui relativi reperti. In questo senso, il lasso di tempo tra l'omicidio e il ritrovamento del corpo l’indomani mattina ha giocato un ruolo centrale. Lasciando potenzialmente un importante margine di manovra all’ eventuale complice. In generale, infatti, il complice non rappresenta solamente una figura di supporto pratico, ma anche – e forse soprattutto – una chiave per comprendere la psicologia del crimine stesso. Ciò perché la manipolazione della scena del delitto diventa una conversazione tra due menti: chi guida e chi esegue, chi progetta e chi aiuta a coprire le tracce.
Questo rende la scena del delitto un mosaico di intenzioni, dove ogni gesto, ogni oggetto spostato, racconta non solo l'azione, ma anche le motivazioni di chi l'ha compiuta. Chi inscena, però, si tradisce. Non è mai possibile costruire una narrazione perfetta, perché ogni alterazione rivela frammenti della mente di chi l'ha compiuta. Dunque, che cosa si nasconde dietro le due lacerazioni compiute sulla gonna di Pierina? Lacerazioni che, come evidenziato nella consulenza medico-legale, sono state effettuate quando la Paganelli era già stata trafitta dalle coltellate mortali. Sicuramente, dal punto di vista della psicologia criminale, oltre a un depistaggio, quelle due lacerazioni potrebbero essere riconducibili a sentimenti di odio e disprezzo. Due sentimenti che, come sostengo sempre, sono troppo grandi per essere sprecati. A maggior ragione assumono un valore per chi ha infierito sul corpo ormai esamine della settantottenne. Tirando le fila. La disposizione ossessiva del corpo potrebbe essere la firma emotiva dell'assassino, mentre l'ordine nella borsa suggerisce una mano diversa, più razionale e pragmatica. Questi dettagli non sono casuali, ma potrebbero verosimilmente rappresentare le tracce. Anche perché è difficile credere che, in uno spazio così buio e ristretto come quello in cui si è consumato il delitto, l’assassino abbia potuto fare tutto da solo. In questo senso, la presenza di un complice complica la dinamica del crimine, ma ne rafforza anche la spiegazione. Perché tornare sulla scena? Per correggere, per confondere, per nascondere. E se due persone sono coinvolte, le motivazioni si intrecciano. Il garage di via del Ciclamino lascia intravedere questa dualità, ma sta agli investigatori leggere tra le righe per smascherare il rapporto tra i presunti attori del crimine. Chi ha ucciso Pierina? E chi ha aiutato il killer?