Nessun sangue. Solo sudore. È questo, in estrema sintesi, il contenuto della nuova relazione firmata da Luciano Garofano e Luigi Bisogno, i due consulenti della difesa di Andrea Sempio, finito sotto la lente della Procura per il delitto di Garlasco. Il documento – consegnato il 7 luglio – è un’integrazione alla perizia già presentata e ha un obiettivo preciso: smontare il significato dell’impronta 33, quella macchia lasciata sul muro delle scale che portano alla cantina dove fu trovato il corpo senza vita di Chiara Poggi. Una macchia, spiegano, che non è sangue. “Ma sudore”, precisano i consulenti. Una manifestazione fisiologica da contatto, accumulata durante un semplice appoggio della mano. Nessuna traccia ematica. Nessun materiale genetico. Nessuna certezza sul quando e sul perché sia stata lasciata. In più, sottolineano, se ci fosse stato sangue, significherebbe che l’impronta fu lasciata durante o subito dopo l’omicidio. E invece non c'è. “E questo – fanno capire – cambia tutto”. Ma non finisce qui. Perché, secondo la difesa, a essere sbagliata non è solo l’interpretazione, ma proprio la base scientifica dell’analisi fatta dai consulenti della Procura. Nella relazione, i legali Massimo Lovati e Angela Taccia sono netti: “È necessaria una corretta attribuzione delle minuzie e della precisa individuazione della loro natura (ovvero minuzie semplici o complesse), ma anche l’assoluta esigenza che i metodi di rilevazione e di accertamento scientifico siano corretti.


Ovvero, quello che a nostro avviso è interamente mancato nella relazione dei consulenti della Procura relativamente all’esame del rilievo 33”. A rincarare la dose è proprio l’avvocata Taccia, che a Fanpage.it spiega: “I nostri consulenti dicono che le minuzie reali ed effettive di quell’impronta sono cinque. Quindi le 15 minuzie che avevano visto i consulenti della Procura, cinque ci sono davvero, ma le altre 10 sono tutte errate, forzate o inesistenti perché sono state confuse con le trame murarie. Sul muro c’erano delle linee e le hanno considerate minuzie”. La Procura, dal canto suo, non molla e continua a difendere la validità dell’impronta 33. In una nota, si legge che “le superfici delle pareti e del soffitto, nel primo tratto della scala che conduce alla cantina casa Poggi, sono state trattate con una soluzione di ninidrina spray il 21 agosto 2007 dai RIS di Parma, al fine di evidenziare impronte e tracce latenti”. Poi, il 29 agosto, la scoperta e la digitalizzazione fotografica. Infine, il 5 settembre, una parte dell’impronta fu asportata dal muro con un bisturi sterile. Ma il colpo di scena arriva proprio in fondo: secondo la relazione dei RIS di Parma (datata 2007), quella parte di impronta – “potenzialmente utile per gli accertamenti dattiloscopici” – fu poi ritenuta “non utile”. La stessa su cui oggi si gioca il destino giudiziario di un indagato.
