Un Dna maschile nella bocca di Chiara Poggi. Uno sconosciuto. Non Stasi. È la novità – anzi: la bomba – di cui si è parlato durante Quarto Grado. A sganciarla, come sempre senza mezzi termini, è Carmelo Abbate: “È clamorosa. È un’altra persona. Toglie definitivamente Stasi da questa storia”. Parla del tampone orale effettuato il 13 agosto 2007, giorno dell’autopsia, quando il corpo della ventiseienne venne analizzato dopo il delitto di Garlasco. Un dettaglio che, se confermato, potrebbe riscrivere tutto. “Ci saranno delle ripetizioni – precisa Abbate –, ma il profilo è importante. O pensiamo che i carabinieri abbiano messo le dita in bocca a quella povera vittima, ma lo escludo perché sarebbe una follia. E allora c'è stata, c’era un’altra persona. E non è Stasi”. Ma lo studio si spacca. Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma e oggi consulente della difesa di Andrea Sempio, frena subito. “I risultati li conosco, ma non posso chiarirli perché tradirei il segreto istruttorio. Posso solo dire che quello che ha affermato Carmelo non mi risulta. Non credo ci siano risultati eclatanti. Assolutamente no”.


È una partita a scacchi tra chi grida alla svolta e chi vuole tenere il coperchio ben chiuso. Abbate, però, rilancia: spiega che uno dei profili genetici emersi dalla nuova perizia sarebbe dell’assistente tecnico del medico legale Marco Ballardini. Ma c’è anche un altro uomo. “Quel Dna è più ricco e corposo di quello trovato sotto le unghie”. E qui entra l’avvocato Lovati, che non ne vuole sapere di rivoluzioni giudiziarie: “Questo conferma solo l’inquinamento delle prove nelle prime indagini”. Il punto però è sempre lo stesso: chi era davvero a casa Poggi quella mattina del 13 agosto? E il Dna trovato è una traccia decisiva o l’ennesimo pasticcio? Garofano si mantiene cauto. E anche sull’impronta numero 33 – attribuita al suo assistito Andrea Sempio – mette le mani avanti: “È il risultato di un cattivo utilizzo delle campionature elettroniche. Le minuzie non coincidono, sono state forzate”. Non basta. Rivela che un tampone, già allora, era stato effettuato. “Ma solo per liquido seminale, e quindi si era esclusa la presenza di altro Dna”. Lo scontro con Abbate si fa teso. Ma sotto la tensione mediatica resta la solita verità amara: dopo diciassette anni, il delitto di Garlasco è ancora un labirinto. Dove ogni passo in avanti sembra riportare tutti al punto di partenza.
