Ma la famiglia frena: “Sono dati infondati”. Il caso del delitto di Garlasco resta un enigma…
C’è ancora chi prova a guadagnare sul corpo martoriato di Chiara Poggi. Diciotto anni dopo il delitto di Garlasco, qualcuno ha pensato bene di mettere in vendita un video con le immagini dell’autopsia della ragazza uccisa a 26 anni il 13 agosto 2007. Un’operazione morbosa, che il Garante per la Privacy ha fermato con un provvedimento d’urgenza: «La diffusione è illecita – scrive l’Autorità – contrasta con le regole deontologiche e con la dignità della vittima». Nessun “diritto di cronaca” può giustificare la violenza postuma di quelle immagini. E chiunque provi a condividerle rischia sanzioni pesanti. Il Garante avvisa direttamente media e siti web: chi entra in contatto con quel video deve fermarsi. Non si tratta solo di una questione legale, ma morale. Le immagini, infatti, «ledono gravemente la dignità della vittima e dei familiari». Perché Chiara non è solo un nome su un cold case che non trova pace: è una persona che ha subito una morte violenta e non può diventare l’oggetto di un macabro business digitale.


Nel frattempo, il caso Garlasco riapre spiragli finora inesplorati. L’11 luglio è emerso un nuovo elemento: un profilo genetico maschile, mai rilevato prima, è stato trovato in un vecchio tampone prelevato dalla bocca di Chiara e mai analizzato finora. Non appartiene ad Alberto Stasi, condannato in via definitiva, né ad Andrea Sempio, mai processato ma finito nel vortice delle ipotesi. Un Dna senza volto che potrebbe riaprire un’indagine che sembrava sepolta sotto anni di carte, perizie e misteri. Ma la famiglia Poggi non ci sta. Per loro è solo l’ennesimo tentativo di riaccendere l’attenzione senza fondamento. Parlano di «dati infondati» e chiudono la porta a ogni possibile riapertura. Perché la ferita è ancora aperta e la giustizia – quella vera – forse non basta più.
