E oggi, anche con pochi reperti, la verità potrebbe essere ancora alla nostra portata...
Quasi diciotto anni dopo il delitto di Garlasco, c’è ancora chi scava tra le tracce, o meglio, tra le tracce perse. Armando Palmegiani, ex poliziotto della Scientifica e oggi criminologo, ha passato al setaccio la scena del crimine e le immagini d’archivio. Risultato? “Era impossibile dimostrare con certezza la presenza di Alberto Stasi nella villetta attraverso la simulazione della camminata”, dice al settimanale Giallo. Ma è solo la punta dell’iceberg. Secondo Palmegiani, gli errori investigativi iniziano dal primo istante. “Troppe persone entrarono in casa calpestando e modificando le tracce. Avrebbero dovuto usare mattonelle di plexiglas per preservarli”. Le macchie di sangue raccontano una storia precisa: la vittima, Chiara, non era in piedi quando fu colpita la prima volta. Probabilmente era seduta sul divano. Poi la caduta, il trascinamento per le gambe, il colpo finale davanti alla porta del seminterrato. E infine il corpo spinto giù per le scale.


Le gocce circolari sul pavimento? “Cadute da un’altezza di 20-30 cm. Se provenivano da Chiara, vuol dire che era a terra. Ma potrebbero anche non essere tutte sue. L’assassino potrebbe essersi ferito”. Un’ipotesi che nessuno, ufficialmente, ha mai escluso né confermato. Ma il vero buco nero è nella gestione delle prove: impronte mal repertate, pigiama distrutto con un’impronta di quattro polpastrelli mai analizzata, capelli nel lavandino solo fotografati, nessun rilievo scientifico a casa di Stasi. E quei mozziconi di sigaretta mai prelevati? “Forse sapevano già di chi erano”. Stasi, secondo l’accusa, non poteva non aver lasciato tracce. Ma le sue scarpe furono sequestrate il giorno dopo, quando le macchie erano ormai secche. E il computer acceso alle 9.35? “Avrebbero dovuto cercare anche lì tracce di sangue, soprattutto sulla tastiera”. Sul tappeto del bagno, una possibile impronta dell’assassino. Sul portasapone, più di un’impronta ma solo una utile. Nessuna analisi fatta. E oggi? “I reperti sono pochi, ma provarci ha ancora senso”.

