La scena del crimine potrebbe essere riscritta del tutto: forse Chiara fu uccisa mentre cercava aiuto. E quel Dna sulla lingua potrebbe finalmente avere un nome…
Uno schizzo di sangue sopra la cornetta del telefono. Un dettaglio mai spiegato che torna a fare rumore diciotto anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, la ragazza trovata morta la mattina del 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia in via Pascoli, a Garlasco. Quel segno, che era lì sin dal primo giorno, ora diventa il centro di una nuova ipotesi investigativa. La scena non è più quella descritta nei processi contro Alberto Stasi, l’ex fidanzato condannato in via definitiva a 16 anni per omicidio. Infatti, secondo i magistrati della procura di Pavia, guidata da Fabio Napoleone, Chiara potrebbe essere stata uccisa mentre tentava di fare una telefonata. Per chiedere aiuto. E quel sangue sulla cornetta potrebbe spiegare tutto. Ma c’è di più: dietro il sangue, il Dna. E dietro il Dna, un nome che potrebbe corrispondere a Ignoto 3, uno dei presunti partecipanti all’aggressione. Forse. Perché ora la procura parla di almeno tre persone coinvolte nel delitto. Gli amici di Andrea Sempio (uno dei tanti nomi saltati fuori negli anni) – Mattia Capra, Alessandro Biasibetti e Roberto Freddi – sarebbero stati esclusi grazie ai confronti genetici.


Ma il nome che al momento resta sul tavolo è quello di Michele Bertani, finora mai formalmente indagato, ma a quanto pare al centro delle attenzioni degli inquirenti e anche mediatiche. La nuova ricostruzione è come un film dell’orrore a telecamera fissa. Chiara apre la porta in pigiama, disattiva l’allarme – forse conosce chi ha davanti, forse no. Poi, qualcosa le fa cambiare espressione. Paura. Corre verso il telefono. Forse riesce a sollevare la cornetta. Forse inizia a comporre un numero. Ma non fa in tempo. Qualcuno la blocca. Le mette una mano sulla bocca. Lei reagisce. E morde. Un gesto istintivo di resistenza che lascia un segno: una traccia di Dna sulla lingua, rilevata anni dopo, durante l’incidente probatorio, dalla biologa forense Denise Albani. Il tampone orofaringeo repertato all’epoca ha restituito un’identità parziale: un uomo, ma non Alberto Stasi. Ma serve la conferma dalle repliche dell’esame. Quello che resta, oggi, è un’indagine che torna a farsi domande. Sul sangue, sul Dna, su Ignoto 3. E su quella cornetta del telefono, muta da troppi anni.
