Forse per diciotto anni è stata lì, sotto l’acqua marrone e melmosa di un canale. Invisibile, dimenticata, ignorata. Poi, i carabinieri l’hanno tirata su: una mazza, forse la stessa che ha spento per sempre la vita di Chiara Poggi quella mattina del 13 agosto 2007. Insieme alla mazza, anche un martello, un’ascia e un attizzatoio. Il luogo del ritrovamento è più che un dettaglio: a pochi passi dalla casa della nonna delle gemelle Cappa, cugine di Chiara. Le Cappa non sono indagate. Ma il loro Dna verrà prelevato e confrontato con i profili biologici isolati sulla scena del crimine. E intorno a loro si muove di nuovo qualcosa. Una vibrazione sottile, fatta di ricordi rimossi, testimonianze sepolte, vecchie piste mai battute fino in fondo. Come quella di Marco Muschitta, tecnico dell’Asm di Vigevano. Il lunedì dell’omicidio era lì, vicino a casa Poggi. “Ero in via Pavia intorno alle 9.30. Ho incrociato una bici nera da donna. Procedeva a zig zag. In sella una ragazza bionda con caschetto, occhiali scuri, scarpe bianche con una stella blu. In mano teneva qualcosa, un oggetto metallico grigio con un pomello: sembrava un attizzatoio da camino”.


Una descrizione precisa, quasi inquietante. Muschitta l’aveva già riferita nel 2007, ma nessuno l’aveva ascoltato davvero. Ora tutto cambia. Anche grazie al settimanale Giallo, diretto da Albina Perri, che ha pubblicato in esclusiva una denuncia di furto risalente all’epoca del delitto. Oggetto sparito: una mazzetta da muratore. Luogo: il cantiere della Croce Garlaschese. Lì dove Stefania Cappa prestava servizio come volontaria. Una coincidenza? Un dettaglio di troppo? Negli anni si è detto di tutto: forbici, stampelle, martelli. Fino a ieri, i sospetti guardavano ad Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara. Oggi lo sguardo si allarga, la direzione delle indagini devia. C’è qualcosa che scricchiola, come se la verità stesse cercando di riemergere da un buio lungo vent’anni. E questa volta, forse, non affonderà di nuovo.

