Ha già detto tutto Selvaggia Lucarelli. Carlotta Rossignoli è più il simbolo del privilegio che non del merito e tanti dubbi sono stati giustamente sollevati anche dagli studenti del San Raffaele. Le domande sono legittime e di solito dovrebbero farle i giornalisti. Ma non per Burioni. Non solo scrive un post a difesa dell’ex studentessa della sua università (ritorneremo sul punto a breve), ma risponde anche a Selvaggia Lucarelli con il solito atteggiamento borioso e saccente di chi legge troppo di fretta i commenti e, a volte, fa fatica a comprenderli. La Lucarelli commenta il suo post rilanciando dei dubbi. Lui scrive: «Non abbiamo al San Raffaele l’abitudine di fare valutare tesi e tirocini ai giornalisti. Va bene con la democrazia ma non esageriamo». Non vedo perché i giornalisti come la Lucarelli dovrebbero farsi dire da uno scienziato quali domande sia giusto fare. Ma per Burioni il rispetto dei ruoli vale solo quando è lui a potersi sentire superiore. Burioni predica bene e razzola male. D’altronde non è una cosa nuova. Un po’ come quando Basetti disse a Giorgio Parisi che non poteva certo mettersi a commentare le statistiche sul covid in diretta TV, non essendo un medico. A Parisi, capite? Poco dopo avrebbe vinto il Nobel per la fisica con alle spalle una carriera passata a leggere numeri e a trarne conclusioni, ma no, non aveva le competenze per commentare il bollettino dei contagi. Burioni fa lo stesso. Prende una giornalista e invece di rispondere nel merito orina per segnare il territorio. Si tratterebbe di un confine invalicabile, oltre il quale non solo non è legittimo discutere di scienza con gli scienziati, ma neanche discutere di temi collaterali (per esempio di corruzione, favoritismi, baronaggio, corsie preferenziali, politiche universitarie, proteste, ecc., all’interno del loro mondo).
Burioni e la cultura della scienza antidemocratica, che premiano personaggi come Carlotta Rossignoli e sembrano non dover rendere conto a nessuno se non alla loro casta sacerdotale, sono agli antipodi dello spirito scientifico moderno che al contrario richiede tempo, umiltà e spirito di collaborazione. Esaltare i presunti “cavalli di razza”, facendo apparire qualcuno come migliore della media solo per una questione di velocità, è come fare apprezzamenti su un buon piatto perché è stato cotto in fretta. Non bisogna scomodare epistemologi e storici della scienza (anche se riscoprire quella magica parola sempre meno di moda – pluralismo – non farebbe poi così male), e non è necessario ricordare che lo scienziato, in quanto tale, non è un tuttologo. Al contrario, è chiaro che Burioni si stia comportando ormai da tempo come un influencer. Si crea i suoi nemici, li combatte con aggressività e arroganzanon mettendosi mai in dubbio, forte del suo pubblico di incaponiti peripatetici. Peccato che non sia Aristotele… Peccato che stavolta il tema non siano i vaccini (su cui ha ragione da vendere), ma l’attualità, nella forma di alcuni annosi problemi di natura sociale, politica ed economica. Immagino che a forza di insegnare al San Raffaele, alla lunga, possa aver perso il contatto con la realtà di migliaia di persone in Italia che non vivono da privilegiate. Ma non è vero, professor Burioni, che ciò che all’estero viene elogiato, in Italia viene criticato. O almeno non è questo il caso. Chi sa riconoscere la disuguaglianza, l’asimmetria tra condizioni di partenza differenti e del tutto plausibili (anche se da provare) favoritismi, non deve rendere conto a lei o a un consesso di emeriti della sua università.
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Torniamo un attimo al problema della scienza antidemocratica. (Questo articolo salta qua e là sui temi, ma dimostriamo al professor Burioni che non è l’unico intelligente della classe; andiamo avanti e vedrete che alla fine il discorso vi tornerà). All’inizio del suo famoso libretto La congiura dei somari Burioni scrive: «La scienza non è democratica. […] Una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo, anche se un referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello dell’acqua». A proposito di acqua, non si potrebbe essere meno profondi di così parlando di scienza. I problemi sono tanti, uno di questi riguarda l’idea malsana che Burioni ha della democrazia, considerata evidentemente come un mero fatto quantitativo. Per lui democrazia è “alzare le mani” e scegliere; dunque, se la scienza non funziona per alzata di mano (e anche questo non è del tutto vero, ma sarebbe troppo lunga da spiegare; potete leggervi i libri di un grande autore morto di recente, Bruno Latour), allora la scienza non è democratica. Peccato che vi sia, sempre, una parte anche di qualità da tenere a mente. Senza grandi definizioni e senza troppi giri di parole: democratico è ciò che fa da rete di salvataggio dell’umanità. Poi si vota. Sarò più diretto: è democratico il sistema di contrappesi che ha permesso alla scienza di essere ciò che è. Questo rende la scienza democratica in un senso molto specifico: la scienza non si farà per alzata di mano, ma è il prodotto, nel suo insieme, di un’originaria alzata di mano. E visto che le mele non cadono troppo lontane dall’albero, farla passare per una materia da ecclesia è totalmente sbagliato. La famosa orecchia che ascolta, senza la quale non vi sarebbe parlare. Chi come Burioni non riconosce la potenza democratica e originaria della conoscenza, non solo fa un cattivo servizio alla scienza stessa, ma dimostra di non averla capita. E lo dimostrerà nuovamente quando, rispondendo a critiche come la mia, dirà: “Io, scienziato, dovrei sentirmi dire cosa è la scienza da un non scienziato?”. Di più. La scienza non è che una componente della ben più importante democrazia. Senza scienza la democrazia collasserebbe, senza la democrazia la scienza non progredirebbe.
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Che c’entra tutto questo con il post su Carla Rossignoli? Tutto. Se la scienza diventa una Chiesa, con tanto di ordine sacerdotale, allora, come la Chiesa, necessiterà di dogmi e regole. Tra queste quella di non mettere mai in dubbio l’autorità. Tradotto rispetto alla notizia di questi giorni vuol dire: non dubitare del giudizio del corpo docenti dell’Università San Raffaele di Milano, perché loro sono l’unica autorità preposta alla valutazione del merito dei propri studenti. Il ché non solo è falso sotto molti aspetti (la valutazione spetta anche agli organi ministeriali che si occupano di organizzare il corso di studi, condizionando inevitabilmente la preparazione e la performance degli studenti al momento dell’esame); ma è persino pericoloso dirlo. Si sta dicendo che in un contesto che dovrebbe essere pubblico e aperto, non c’è spazio per chiunque voglia porre domande. Anche perché a Burioni potranno stare sulle scatole i giornalisti come Selvaggia Lucarelli, ma far finta che non esista una lettera dei suoi stessi studenti e dar credito a prescindere alla Rossignoli e alla sua facoltà, è un gesto ben poco educato nei confronti della popolazione universitaria. Dov’è finito il dubbio? Stiamo ricomponendo il puzzle, vedete? Se uno passa la vita a sostenere un’idea di scienza impermeabile agli interrogativi posti dalla società, alle discussioni e agli scontri aperti, come potrà mettere in dubbio che il sistema in cui egli si muove sia, oltre che iniquo, del tutto capace di incepparsi e produrre errori?
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