Ottavia Piana sta risalendo le grotte di monte Torrezzo, dov’è è rimasta intrappolata con viso e gambe fratturate, grazie all’aiuto dei soccorritori. La trentaduenne conosceva già quello che il Corriere della Sera definisce “l’abisso di Bueno Fonteno”, è un’esperta speleologa del Cai di Lovere. Eppure per la seconda volta ha rischiato di morire e le sue attuali condizioni di salute sono ancora poco chiare ma, evidentemente, gravissime. Non tornerà più laggiù, dice, in quei cunicoli, ma non vuol dire che non tornerà a fare la speleologa affatto. Sui social, ovviamente, è chi ha la testa intrappolata tra le rocce dell’analfabetismo di ritorno a parlare: “Se le va a cercare”, “quanto ci costa salvare questa sciroccata”. Interviene per fortuna il presidente della Società italiana di speleologia, Sergio Orsini, ricordando che “le ricerche che lei e il suo gruppo stanno conducendo non sono solo un’impresa sportiva ma rappresentano un contributo fondamentale alla mappatura del sottosuolo e all’analisi di risorse vitali come l’acqua che beviamo”. Ma i fenomeni sul web hanno bisogno di altre risorse vitali. Una di queste viene normalmente indicata con un termine che quest’anno la Treccani ha scelto come parola dell’anno: rispetto. Figurarsi, in mancanza di questo concetto, quale possa essere lo spazio vitale, l’ossigeno rimanente alla conoscenza, che è a sua volta l’ossigeno per il cervello. Servirebbe chiedersi chi sia davvero la persona intrappolata, Piana che ha le gambe sbriciolate probabilmente da una caduta di una grotta o chi, da casa, ha tempo per minimizzare un salvataggio.
A poco vale la morale utilitaristica, il problema dell’uomo grasso sul binario del treno, l’idea che spendere molte risorse per una sola vita sia sbagliato; il filosofo inglese Bernard Williams spiegò in che modo le scelte morali abbiano a che fare con l’integrità personale: c’è differenza tra fare i conti dietro una tastiera e insultare una persona in pericolo e trovarsi a doverla soccorrere e scegliere di non soccorrerla. Se vi sembra un discorso assurdo ed eccessivamente astratto, ricordate che Williams fu un consulente del governo britannico che per tutta la vita si impegnò affinché la filosofia potesse avere un risvolto pratico nella società. Ma non è solo questo, c’è di più. A poco vale chiedersi se a scuola diano da leggere Jules Verne, sarebbe bastato ricordare agli odiatori Indiana Jones. Ve li immaginate a dire “Se l’è cercata” mentre guardano uno dei film della serie? “È colpa sua”. Una cosa simile era successa ai tempi del Titan, imploso il 13 giugno del 2023 in fondo all’oceano. Portava dei ricchi e i soccorsi che si impegnarono a cercare il sommergibile vennero criticati: perché spendere le risorse per quattro cretini con un bancomat? In quel caso, poi, si trattava davvero esclusivamente di un lusso. Stavolta no, come spiegato dal presidente della Società italiana di speleologia, c’era di mezzo la conoscenza, l’esplorazione conoscitiva, la scoperta.
Da sempre la caverna è un luogo di conflitto (abbiamo citato Bernard Williams, ora citeremo qualche altro filosofo). Per Platone l’uomo nella caverna era ignorante e guardava le proprie ombre proiettate sul muro dal fuoco. Deve uscire per conoscere davvero. Agostino la pensava allo stesso modo, e aggiungeva che la caverna era anche il simbolo (o luogo) del peccato. Ma la caverna ha anche a che fare con la ricerca di se stessi e con un percorso che porta alla conoscenza. È inevitabile passare dalla caverna. È quello che fa Ransom, lo scienziato protagonista di Perelandra, uno dei capolavori di C. S. Lewis, che si trova a combattere con l’anti-uomo in mare aperto e poi finisce su una spiaggia che è in realtà il pavimento di una caverna che sarà costretto a risalire per potersi salvare. E l’Inferno di Dante, tappa ineliminabile del percorso verso Dio (per intenderci: no Inferno, no Virgilio, cioè la guida per andare verso il Paradiso), non è una grotta? La grotta è anche un simbolo primordiale, da Carl Gustav Jung a Bachelard, è la “dimora dell’inconscio”, un’espressione difficile per dire che si tratta di uno degli spazi più autentici della nostra identità. Esplorare, metaforicamente e praticamente, come ha fatto Piana, non è solo voler conoscere ma anche cercarsi un po’ di più, scendere in profondità.
Se non siete molto inclini a filosofare, però, vi basti pensare alle scoperte che dobbiamo alla speleologia e a sua sorella, la paleontologia. Dai fossili alle pitture rupestri nelle caverne, come l’arte nelle grotte di Lascaux e nelle grotte di Chauvet, dove, per dirla con la poetessa Silvia Bre, “un toro che vibra invece / preso nel segno”. Non vi sembra importante? È il ritrovamento dei resti dell’homo di Neanderthalensis? O dell’Uomo di Denisova? Parliamo anche di attualità: stalattiti e stalagmiti e formazioni di vario genere nelle grotte, ci permettono di studiare e capire il cambiamento climatico, più di quanto, per esempio, ci sia utile guardare la vita di chi critica Ottavia Piana. E poi l’acqua, la solidità del terreno, la possibilità di poter costruire sopra a delle aree cave. La civiltà viene costantemente imboccata dagli speleologi. Eppure, gli odiatori continuano a mordere la mano che ci nutre.