Leggendo l’inchiesta de L’Espresso su Chiara Ferragni e le sue società viene da pensare innanzitutto: tutto qui? Non è che si è fatto tanto rumore per nulla? I cacciatori di bilanci, gli esperti di carte, visure e passaggi societari cui non sembrava vero di potersi dedicare al fenomeno pop per eccellenza in Italia, abbandonando la grigia ricerca nell’alveo delle partecipate e dai capitalisti salottieri, sono rimasti delusi. Il titolo provocatorio e divisivo con Ferragni-Joker (nel bene e nel male, purché se ne parli) produce un servizio non all’altezza. Non ce ne voglia la giornalista Gloria Riva, ma più che un’inchiesta approfondita e scottante emerge un ottimo e ben documentato lavoro di ricerca su passaggi, documenti, bilanci e visure. Cosa ci dimostra il tutto? Che come ogni persona facoltosa Chiara Ferragni sfrutta gli artifici legali della creazione di società, di divisione delle attività e di costruzione di holding per coprire, gradualmente, il suo utile. Questo la Riva, la giornalista che realizza il servizio, lo pone attivamente in evidenza. E il suo lavoro è indubbiamente certosino e preciso nel portare fuori, per esempio, la retribuzione molto squilibrata tra i dipendenti di Tbs Crew, Fenice e le altre società della galassia dell’influencer di cui vi avevamo parlato su questo colonne e quella di Fabio Maria Damato, il “regista” della crescita aziendale del brand Ferragni. Ma di “lato oscuro” si vede molto poco, se con questo lato si intende tutto ciò che ha a che fare con eventuali doppiogiochismi, elusioni e via dicendo. La notizia importante che emerge, tra tutte, è quella dell’enigma sul passaggio di quote del 45% della Tbs in pancia alla Esuriens di Pasquale Morgese, produttore terzista di abbigliamento basato in Puglia, riacquistate nel 2021 da Ferragni stessa, anche se una quota analoga risulterebbe da atti notarili ancora intestata all’ex socio dell’imprenditrice, Fabio Pozzoli. Ma dal servizio non è dato sapere se esistano altre visure o se i diretti interessati siano stati avvisati di quella che, ad ora, è possibile considerare una semplice svista. Insomma, un lavoro che avrebbe meritato forse un maggiore approfondimento nonostante diverse piste buone. Leggendo il numero della rivista di Donato Ammaturo, a ben guardare forse la copertina l’avrebbe meritata il servizio di Carlo Tecce sui discutibili silenzi italiani e di molti politici sulla torsione autoritaria dell’Azerbaijan di Ilham Alyiev, nostro alleato che riforniamo di investimenti e accordi commerciali in cambio del prezioso gas.
Tecce, col sostegno di un approfondito punto del bravo reporter Daniele Bellocchio dall’Artsakh, costruisce un servizio che evidenzia problemi e ambiguità del patto italo-azero, oliato da preziosi accordi energetici. Di fronte alle piccole questioni di casa nostra, un tema importante che tocca i profughi sfollati del Nagorno-Karabakh aggredito dall’Azerbaijan, la violenza locale dello spazio post-sovietico e moltre altre questioni scottanti sul fronte geopolitico. Ci si chiederà: cosa c’entra tutto questo col “Ferragni-gate”. Indirettamente, molto. Tecce, nel 2021, aveva realizzato assieme a Vittorio Malaguti, uno dei futuri scopritori dei Pandora Papers, un dettagliato servizio proprio su L’Espresso riguardo l’impero economico di Chiara Ferragni e Fedez mettendo sul campo, in anticipo, molti temi: dall’autocensura del cantante ai “giochi” borsistici delle aziende sponsorizzate e sostenute dall’influencer, passando per la prima, vera radiografia delle scatole societarie del gruppo. E costruendo, inoltre, un plastico processo del “modello Ferragni” oltre i social: “La fama digitale moltiplica il pubblico dei potenziali consumatori e le celebrità del web servono ad amplificare la forza di un marchio”, scriveva Tecce con Malaguti. “In Borsa”, aggiungevano, “lo hanno capito da un pezzo e quindi cavalcano ogni iniziativa della diva di Instagram. Che intanto, però, ha fatto il salto di qualità, trasformando sé stessa in un brand. Anzi, meglio ancora, la sua immagine riprodotta milioni di volte al giorno attraverso i vari canali social è diventata l’icona di uno stile di vita che serve a promuovere i prodotti più diversi, dall’intimo ai costumi di bagno, fino alle scarpe e agli accessori. Ma la pubblicità non basta. La blogger diventa stilista e sigla accordi con le aziende di moda. Sono affari che muovono milioni molto prima che un solo abito finisca in vetrina”. Tutto questo, tre anni fa, appariva estremamente anticipatorio sul dibattito attuale. Ora Tecce scrive di temi caldi delle questioni economico-finanziare e di politica internazionale. L’inchiesta su L’Espresso del 2021 è stata una palestra. Nel caso dell’attuale ricerca su Chiara Ferragni condotta dalla Riva uno dei motivi che può averla resa depotenziata è il fatto che a seguire il dossier siano stati, a tre anni di distanza, giornalisti diversi. Ma - e questo va sottolineato - l’errore più grande è stato forse giudicare le aspettative dalla copertina. L’Espresso di Ammaturo - che lo ricordiamo, non è più quello di Giuseppe D’Avanzo e nemmeno più quello di Marco Damilano - la sua personale battaglia l’ha già vinta, facendo parlare di sé con la copertina. Il suo onesto lavoro, la giornalista che ha ricostruito nessi e legami, in fin dei conti l’ha fatto. Ma il clima di torbidi e mistero che Ferragni-Joker creava forse ha danneggiato lo stesso giudizio del suo operato. In fin dei conti, il servizio che meritava l’apertura era, come detto, un altro. Fatto da chi già tre anni fa aveva scavato pungentemente nell’impero di Ferragni (e Fedez). Creando un precedente rispetto al quale è difficile dire che esistano sostanziali novità. Se non che, forse, oggi criticare Ferragni è diventato senso comune. Mentre allora imponeva di nuotare controcorrente. E questo è davvero ciò che è cambiato.