Sull'energia "stiamo monitorando", perché se "le previsioni erano favorevoli per la discesa dei prezzi del gas, finendo i sussidi previsti fino a tutto il 2023, la situazione potrebbe volgere in senso negativo rispetto agli auspici”. A dirlo è stato il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, in conferenza stampa a Palazzo Chigi, lo scorso 16 ottobre. A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, lo slogan adottato dai Paesi europei - e dall’Italia, in particolare - è stato “diversificazione” delle fonti energetiche: non era più tollerabile, si era detto all’epoca, dipendere da gas e petrolio provenienti da una potenza “ostile” come la Russia. Anche se questo ha significato rinunciare a contratti di lungo termine take or pay e all’energia a basso costo che è stata motore della nostra economia sin dai tempi di Enrico Mattei, primo presidente dell’Eni. Che a dispetto della contrapposizione tra blocchi, fu artefice di un neoatlantisimo mediterraneo, come venne poi ribattezzato, improntato sul perseguimento dell’interesse nazionale e promotore di una politica estera quanto più possibile indipendente nell’ambito della Nato e nel blocco guidato dagli Stati Uniti d’America.
Prezzi di nuovo alle stelle
Lo scorso gennaio, la presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, annunciava che l’Ue era riuscita superare la dipendenza da Mosca: “Sull'energia un anno fa l'Europa era molto dipendente dai combustibili fossili russi, una dipendenza costruita in decenni. Questo ci ha reso vulnerabili ai tagli delle forniture, ai picchi dei prezzi e alle manipolazioni del mercato di Putin. In meno di un anno l'Europa ha superato questa pericolosa dipendenza” ha detto Von der Lyen al World Economic di Davos. In Italia, la “differenziazione” delle fonti energetiche ci ha portato dunque a rinunciare al gas russo per volgere il nostro sguardo verso il Mediterraneo e a Paesi come l’Algeria. Le temperature sopra la media e i depositi di scorte che traboccano ci hanno permesso di non preoccuparci granché, almeno negli ultimi mesi, della questione energetica. Ma era solo un’illusione, come hanno chiarito le parole del ministro Giorgetti. Ora una nuova guerra, quella tra Hamas e Israele, sta già portando a un’impenna dei prezzi. Come riportato da Open, citato anche da Dagospia, nel giro di una settimana, il prezzo del gas – che rappresenta la fetta più importante della torta del mix energetico italiano – è salito del 40%. La domanda è: perché?
Come funziona la borsa di Amsterdam
Il nodo cruciale è che il prezzo dell’energia viene determinato dalla Borsa di Amsterdam (Ttf, Title Transfer Facility) nell’ottica del laissez faire. Trattasi di un mercato virtuale con sede nei Paesi Bassi: qui trasportatori e acquirenti, produttori nazionali e internazionali, società di stoccaggio, distributori e operatori di rete dell'industria del settore, commerciano le forniture di gas. Si contratta, dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 18. Come spiega Salvatore Carollo, ex dirigente Eni, citato da Il Sussidiario, “la dimensione dei volumi scambiati nel Ttf è interamente gestita dalla Borsa di Amsterdam, ma nessuno comunica il vero volume delle operazioni. Ci sono tutti i grafici che ci dicono come va il prezzo, ma nessuno sulla quantità di volumi scambiati, cioè su quale scambio di volume è basato questo prezzo. Da quello che ho potuto esaminare si tratta di scambi insignificanti, tra un gruppetto di trader, che generano questi numeri. E accade che in una Borsa piccolissima, dove si scambiano pochi volumi, basti un nonnulla per generare aumenti del 100% o del 200%”. In pratica: siamo nelle mani della speculazione, senza che nessuno possa incidere minimamente.
Come ha spiegato a La Stampa Giovanni Battista Zorzoli, presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’energia, alla Borsa di Amsterdam “è stata attribuita la funzione di mercato di riferimento del metano in tutta Europa, ma in realtà ne tratta solo una minima parte”. Ma il Ttf non è neanche una vera Borsa di gas, “è solo una Borsa di ‘futures’, cioè di titoli finanziari sul gas, e per di più con volumi sottili, da uno a tre miliardi di euro al giorno, pochissimi per il mercato dell’energia”. Quindi il Ttf “subisce oscillazioni violente in su e in giù ed è manipolato da un pugno di operatori”. Il che ci pone in una situazione delicata, in balia degli speculatori che agiscono sul mercato dell’energia.
I “partner” dell’Italia
Al di là dell’aspetto dei costi, c’è poi l’ambito politico. Anzi, geopolitico: perché l’energia ha bisogno di una lettura geopolitica. Secondo Il Sole 24 Ore, l’80% delle nostre forniture di gas è esposto a rischio geopolitici più o meno gravi. Come quello proveniente dall’Algeria, che è diventato il primo fornitore di gas dell’Italia: in base ai dati del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica e a quelli di Snam, la società che gestisce la rete dei gasdotti italiani, tra ottobre 2022 e marzo 2023 l'Italia ha importato 31 miliardi di metri cubi di gas. Di questi, 2,8 miliardi sono arrivati dalla Russia, 3,4 miliardi dal Nord Europa, 1,5 miliardi dalla Libia, 4,8 miliardi dall’Azerbaigian, 10,7 miliardi dall’Algeria e 7,9 miliardi sotto forma di “gas naturale liquefatto” (Gnl). Lo scorso gennaio, la premier Meloni ha spiegato che “non è un caso che la prima missione bilaterale del Governo in Nord Africa si tenga in Algeria, un partner affidabile e di assoluto rilievo strategico”. Sarà come dice il Presidente del Consiglio, ma abbiamo scelto l’Algeria al posto della Russia perché quest’ultima è un’autocrazia. Peccato che, se vogliamo metterla su questo piano, Algeri ha dichiarato, tramite il suo ministro degli esteri, di "chiedere alla comunità internazionale di agire urgentemente per aiutare gli oppressi e i perseguitati, per porre fine a questa aggressione [di Israele] e per rilanciare il processo di pace”. In buona sostanza, abbiamo rinunciato la gas di Mosca per un Paese che sostiene Hamas, che per l’occidente è un’organizzazione terroristica. E l’Azerbaijan? Dal quale prendiamo il gas tramite il Tap? Bè, Baku è stata accusata di aver messo in atto una vera e propria pulizia etnica contro gli armeni del Nagorno Karabakh. Se questi sono i nostri nuovi partner “democratici", allora siamo messi bene…