Giacomo Moro Mauretto, il titolare del canale naturalistico Entropy for Life, ha di recente messo alla berlina un’ampia platea di testate che hanno ripreso, in Italia, la notizia dei presunti “lupi mutanti” di Chernobyl. Il motivo? L’assenza di deontologia giornalistica nel riportare i fatti. Diverse testate, tra cui La Stampa, Il Sole 24 Ore, Il Giornale e Agenzia Dire, hanno riportato come certa la notizia che a Chernobyl uno studio scientifico avrebbe mostrato un’evoluzione del genoma dei lupi esposti dal 1986 a oggi alle radiazioni che mostrerebbero un adattamento al rischio oncologico e alla possibilità di sviluppare tumori. Negli articoli si parla del lavoro attivo della dottoressa Cara Love, biologa evoluzionista ed ecotossicologa dell’Università di Princeton negli Stati Uniti, che nell’ultimo decennio ha condotto uno studio sull'adattamento dei lupi di Chernobyl alle radiazioni, nonostante siano esposti a particelle radioattive da diverse generazioni. Il problema è che la notizia è stata riportata come certa quando, ad oggi, lo studio della Love non è ancora ufficialmente pubblicato su alcuna rivista scientifica. La Love è attiva pubblicatrice dei suoi lavori sui suoi canali e non ha ancora dato evidenza ufficiale di questa ricerca. Ha presentato la linea guida della sua ricerca al meeting annuale della Society of Integrative and Comparative Biology (Sicb) americana, tenutasi a Seattle, nello Stato di Washington, a gennaio. Questo, per Mauretto, non è sufficiente a fare della ricerca un paper scientifico validato a tutti gli effetti. Cosa che la scienziata prima autrice di questo rapporto si guarda bene dal fare: dal 2014 Love e il suo team di ricercatori hanno esplorato la zona di esclusione di Chernobyl (Cez) e hanno dotato i lupi di radiocollari per monitorare i loro spostamenti e l'esposizione alle radiazioni. Secondo le evidenze raccolte, avrebbero visto come i lupi si trovano ad affrontare quotidianamente più di 11,28 millirem di radiazioni per l'intera durata della loro vita, superando di sei volte il limite legale di sicurezza per gli esseri umani. Nell’evento SICB di gennaio la Love non ha presentato un paper già pubblicato o partecipato a una “poster session” in cui determinate ricerche sono esposte ai conferenzieri, ma a un semplice talk.
Mauretto su questo affonda: è sbagliato dunque riportare una notizia che la stessa autrice non ha ancora evidenziato come definitiva prendendo per buoni i risultati di un singolo speech di 15 minuti (dalle 10.45 alle 11 di domenica 6 gennaio, per la precisione) come se fossero esaustivi. Il problema di fondo è giornalistico e informativo. Le testate italiane hanno “strillato” la notizia partendo dal presupposto che i lupi sembrerebbero sviluppare un sistema immunitario alterato simile a quello dei pazienti oncologici sottoposti a radioterapia. Quello che la Love evidenzia come obiettivo di ricerca possibile, capire se la sua eventuale scoperta potrebbe rivelarsi cruciale per la lotta contro la malattia negli esseri umani, non è specificato come tale negli articoli che evidenziano la notizia “urlandola”. I “lupi mutanti” sono dunque sulle pagine di tutti i giornali con buona pace delle competenze richieste per vagliare una notizia scientifica. “Basta andare sulla pagina di quella che potrebbe essere la prima autrice per capire che questo studio ancora non c'è”, ricorda Mauretto. Il quale aggiunge di porsi il dubbio se quella dei media italiani sia il frutto di un’ignoranza voluta o di una ricerca enfatica di clic e visibilità. Domanda legittima se pensiamo che, a una rapida navigazione web, non risulta che nessuna delle principali testate internazionali abbia riportato la notizia: essa non risulta su New York Times, Financial Times, The Guardian, Le Monde e Der Spiegel. Risulta, invece, sul chiacchierato New York Post. Il timing è sospetto. Una ricerca Google sui risultati riguardanti articoli sui “lupi di Chernobyl” vedeva sparuti articoli negli ultimi anni fino al 7 febbraio scorso. Quel giorno il New York Post ha pubblicato un reportage dalla zona d'esclusione in cui presentava come dato di fatto l’acquisizione di notizie riguardanti i lupi resistenti al cancro. Il New York Post, giornale di antichissima tradizione fondato da Alexander Hamilton, uno dei padri della patria americana nel 1801, è diventato negli ultimi decenni un rotocalco scandalistico dal valore informativo pressoché nullo come tipico delle testate di proprietà di Rupert Murdoch, il suo editore. Già nel 1980, la Columbia Journalism Review affermò che il New York Post non fosse più semplicemente un problema giornalistico, ma un problema sociale, una forza del male. Tranchant anche Stefano Marrone su True-News: “Il Nyp è una fucina inesauribile di bufale, sparate, illazioni. L’equivalente americano di un tabloid inglese o della Bild tedesca. Il New York Post rientra tra quelle testate che non vanno prese come fonte, nemmeno per sbaglio. Qualche volta ha anche dato anche informazioni corrette, ma quando lo fa è sensazionalismo puro, il trionfo del clickbait”. Marrone commentava la notizia data in Italia della possibile candidatura presidenziale di Michelle Obama, altra notizia che è esistita solo in Italia e non nella grande stampa internazionale. Prima dei “lupi mutanti” un altro caso di corsa italiana a rincorrere un media senza valore. Mettendo in bocca a una ricercatrice con diversa deontologia parole che non ha mai detto. Il sospetto è che non solo i giornali italiani non conoscano la scienza. La realtà è che non conoscono nemmeno la galassia informativa internazionale e spesso si limitano a inseguire ciò che è più eclatante. Creando dei cortocircuiti informativi desolanti.