Emanuela Orlandi, quarant’anni di silenzi. Tanto tempo è passato dalla sua scomparsa, da quel caldo pomeriggio di fine giugno del 1983. Da lì più niente, da lì mai più. Cittadina vaticana, quindici anni appena, tante le piste quanti i depistaggi. Ma di Emanuela non si è saputo più niente. Suo fratello Pietro, inarrestabile nella sua ricerca di verità e giustizia, in un’intervista al Corriere della Sera è tornato a parlare del coinvolgimento del Vaticano nella sparizione di sua sorella, che ha tentato di bloccare la formazione della Commissione parlamentare d’inchiesta incaricata proprio di fare luce sul caso Orlandi: “La Commissione è un grande passo avanti. Sono contento che le istituzioni non abbiano ceduto alla pressione del Vaticano, che non voleva assolutamente che venisse approvata. C’è stato soltanto un astenuto ed un contrario, che tra l’altro alla fine ha votato sì. Dunque, è stata approvata quasi all’unanimità. Se non si riuscisse anche questa volta a portare a casa un risultato, sarebbe davvero molto grave. Ricordiamoci che questa è la terza inchiesta. Sono convinto che arriveremo alla verità, non potrà essere occultata per sempre. Deve essere così”. Che il Vaticano fosse contrario è emerso anche dalle parole di Alessandro Diddi, promotore di giustizia della Santa Sede, che l’ha definita un’intromissione perniciosa: “Questo episodio mi ha fatto molto riflettere. Mia sorella era una cittadina vaticana e dunque il Vaticano avrebbe dovuto essere felice di una Commissione da parte dello Stato italiano all’interno del suo Parlamento. Invece questo aiuto non è stato gradito, probabilmente perché cercano una verità comoda. Inoltre, le audizioni di una commissione parlamentare, a differenza della Procura, possono anche essere pubbliche. Quindi sicuramente c’è una grande paura dell’attenzione mediatica”.
Nei mesi scorsi il Vaticano ha mosso delle accuse che sono state rivolte direttamente alla famiglia Orlandi, allo zio di Emanuela, secondo cui sarebbe coinvolto nel rapimento della nipote: “È stato l’ultimo dei tentativi del Vaticano di spostare le attenzioni sulla famiglia, affinché non andasse in porto la Commissione. Una notizia totalmente insensata, anche perché le indagini, già fatte anni fa dalla Procura di Roma, avevano escluso totalmente il coinvolgimento di mio zio dal rapimento di Emanuela. Se ne è parlato come se fosse una novità, ma la questione è stata già affrontata e chiusa da anni. Fortunatamente in Senato si sono comunque resi conto della necessità di risolvere questa storia. La Commissione non deve partire perché c’è una famiglia che soffre, ma perché questa è molto più di una semplice scomparsa. Ci sono troppi depistaggi e coinvolgimenti da chiarire”. Un risultato che è stato possibile raggiungere grazie e soprattutto al lavoro svolto dal giornalista Andrea Purgatori, venuto a mancare il 19 luglio scorso, che si è sempre occupato con grande serietà della scomparsa di Emanuela. Purgatori, poco prima della sua scomparsa, ha raccontato di essere stato contattato da una ex dipendente della sala stampa vaticana, che gli parlò di una chiamata ricevuta da parte dei presunti rapinatori di Emanuela, ma sull’identità della donna ancora tutto tace: “Ho fatto un appello sui social e spero possa contattarmi. Questa donna ha telefonato a Purgatori e ha raccontato di aver ricevuto una chiamata nei giorni della scomparsa. Poi le è stato detto, dai piani superiori, di dimenticarsi di quella chiamata. Sarebbe interessante parlare con lei. Purgatori non mi ha detto il nome di questa persona, poi si è ammalato e non c’è stato più modo di parlarne”.