Quando Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, scomparve nel nulla il 22 giugno 1983, quello che sarebbe accaduto poi nei quarant’anni successivi era un qualcosa di difficile da immaginare. Da quella calda estate in Vaticano si sono alternati tre Papi, ma nessuno di loro ha avuto la volontà e il coraggio di metterci la faccia, o meglio di rimetterci l’immagine. La verità sulla scomparsa di una ragazzina di quindici anni vale meno dell’idea che si possa avere nel mondo della Chiesa. O del dolore di una famiglia che piange una figlia e una sorella da quarant’anni. Discutibili punti di vista. Grazie alla serie Netflix, Vatican Girl, la storia di Emanuela ha scavalcato i confini nazionali e sembra che qualcosa ora si stia finalmente muovendo. Una commissione parlamentare d’inchiesta e un’indagine interna in Vaticano, la prima dal 1983. Noi di MOW abbiamo partecipato a un incontro a Roma con Pietro Orlandi in cui si è parlato della scomparsa di sua sorella, durante la quale ha ripercorso questi anni vissuti all’insegna dell'incessante ricerca della verità. Anni in cui in Vaticano il disinteresse da parte dei Papi ha sempre fatto da padrone, sin dai primi momenti.
Ben sei mesi dopo la scomparsa di Emanuela, nel dicembre del 1983, Papa Giovanni Paolo II si recò in visita a casa della famiglia Orlandi: “Ci disse che la scomparsa di mia sorella era un caso di terrorismo internazionale, ma che stava facendo quanto umanamente possibile per arrivare ad una soluzione positiva, che per noi voleva dire riportare Emanuela a casa. In quel momento non potevamo immaginare che ci stesse dicendo una cosa falsa, o prendendo in giro. Quello per noi fu un giorno importantissimo, il Papa ci garantiva il ritorno di Emanuele, mentre lui mise sul piatto della bilancia la verità sulla scomparsa di Emanuela, e dall'altra parte l'immagine della Chiesa e fece una scelta. Da quel momento ha permesso al silenzio e all'omertà di calare su questa storia”. Il pontificato di Wojtyła si chiude senza arrivare alla verità. Tante le piste, le illusioni che alla fine hanno portato tutte allo stesso epilogo: ricominciare da capo. Con la nomina di Ratzinger nulla cambia, anzi, il muro del silenzio cresce: “E’ stato un Ponzio Pilato. Non si è mai voluto occupare di questa vicenda, non ne ha mai voluto parlare. A 25 anni dalla scomparsa mia madre chiese alla sua segretaria se durante l'Angelus poteva ricordare Emanuela con una preghiera, niente di più. Per lei, all’epoca, una parola del Papa poteva essere ancora importante. Ma lui non disse niente. Quando mia madre incontrò di nuovo questa persona le chiese spiegazioni, e si sentì dire che la risposta del Papa a questa richiesta fu che ‘doveva chiedere’. Ho poi avuto modo di leggere la lettera che la Segreteria di Stato ha inviato a Ratzinger: “Sappiamo che le è stato chiesto di ricordare Emanuela, però noi non riteniamo opportuno che lei nomini Emanuela Orlandi durante l'Angelus, perché la gente potrebbe pensare che anche il Papa ha dei dubbi su questa storia, e che anche il Papa dà credito al fratello". Loro con questa lettera hanno detto al Papa "è meglio che lei non ne parli", e non ne ha parlato. Le sue dimissioni, secondo me, sono legate anche alla scomparsa di Emanuela”. Se anche il Papa deve chiedere il permesso su cosa dire o meno durante l'Angelus c'è da preoccuparsi, e molto. Dopo venticinque anni pronunciare il nome di Emanuela faceva paura persino al Papa. Ma può il nome di una ragazzina far così paura? Sì, se dietro quel nome si nasconde molto di più. Fatto sta che il festival dell'omertà quel giorno andò in scena ancora una volta. L'ennesima.
Non c’è due senza tre. Papa Francesco, che all’inizio si era presentato come l’amicone di tutti, magari avrebbe potuto fare la differenza. Un'altra illusione: “Quando fu nominato pontefice dissi vabbè, proviamo con il terzo Papa. Francesco, quindici giorni dopo la sua nomina decise di dire messa nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano. Io andai insieme a mia madre nella speranza di riuscire a scambiare due parole con lui. Quando entrai in chiesa mi guardarono tutti male, neanche fosse entrato un mafioso. Il Papa disse a mia madre, sorridendo, “Emanuela è in cielo”, un modo delicato come per dire “Emanuela è morta”. Disse a me la stessa cosa. Da quel momento ho provato tantissime volte a fare richiesta al suo segretario particolare per un incontro, ma si sono chiusi a riccio”. Sono trascorsi altri 10 anni, e l’attenzione mediatica attorno alla scomparsa di Emanuela oggi è aumentata. Sarà questo il motivo che si cela dietro l’apertura dell’indagine? Probabile, del resto mantenere le apparenze è l’unica cosa che conta. Essenziale. Fa sorridere pensare che a capo del Tribunale Vaticano ci sia Giuseppe Pignatone, la stessa persona che quando ricopriva il ruolo di Procuratore di Roma decise di procedere con l’archiviazione del caso. Il nome di Emanuela per le strade dello Stato Vaticano, pezzetto di terra grande due metri per due ma dalla potenza incalcolabile, è ancora un tabù. Ma non potrà esserlo per sempre. Il muro del silenzio attorno alla scomparsa di Emanuela dovrà sgretolarsi prima o poi, anche dovessero succedersi altri 10 pontefici.