A un anno dall’arresto di Matteo Messina Denaro, nel piccolo paese di Campobello di Mazara nulla sembra essere cambiato. Nella cittadina che ha “nascosto” per non si sa quanto tempo l’ultimo boss di Cosa nostra latitante dal 1993, si fa ancora fatica a parlare dell’argomento senza essere maleducatamente allontanati. L’aria è ostile e lo capiamo subito dai primi sguardi che i cittadini ci riservano appena scesi dal treno. I giornalisti, gli impiccioni, i curiosi o chi semplicemente ha delle domande da fare qui non sono i benvenuti. Campobello di Mazara è la “gemella” di Castelvetrano, città d’origine della famiglia Messina Denaro. Le due aree urbane sono distanti fra loro pochi chilometri, in poche parole: siamo nel loro regno. Le strade di Campobello di Mazara sono deserte e mal curate, erbacce e cumuli di spazzatura occupano alcuni marciapiedi rendendo impossibile camminare. Aggirandoci fra gli infiniti viottoli del paese vediamo un gruppo di bambini giocare a pallone, negli stessi vicoli molto probabilmente camminava indisturbato il figlio di don Ciccio Messina Denaro per raggiungere il suo covo in via San Giovanni 260. Nessuno ha voglia di parlare con noi, è fin troppo evidente che non siamo di quelle parti. Basta solo pronunciare il nome di Matteo Messina Denaro per far allontanare qualsiasi interlocutore.
La voce di chi potrebbe aver conosciuto il boss
Affranti per non essere riusciti a parlare con nessuno ci sediamo in una nota pasticceria nella centralissima via Selinunte - arteria principale del paese - e iniziamo a scambiare due chiacchiere con un anziano che con gentilezza accetta di rispondere alle nostre domande.
Com’è possibile che nessuno si sia accorto che in queste strade viveva il latitante più ricercato d’Italia?
Francamente non credo proprio che nessuno lo sapesse. Messina Denaro potrebbe aver avuto più amicizie di quante crediamo. Ma a Campobello ci sono anche cittadini a cui il figlio di don Ciccio non piaceva, ricordiamoci sempre che aveva dato ordine di sciogliere un bambino in un bidone pieno di acido.
Dopo la marcia della legalità sotto la casa del boss dello scorso anno non si è fatto più nulla, il paese non sembra essere cambiato.
E perchè dovrebbe? Era tutto perfetto così come lo è adesso.
In che senso “era tutto perfetto”?
Non è una frase fatta, ma quando Messina Denaro comandava qui e prima di lui la buonanima di suo padre vigevano ordine e disciplina. Nessun furto, niente risse… i ladri solo ultimamente li abbiamo iniziati a vedere per la prima volte dopo decenni.
Quindi lei deduce che l’assenza di un boss che incuta terrore invogli i microcriminali ad agire nella città di Campobello di Mazara?
Certo è normale, a Campobello di Mazara i crimini sono aumentati in maniera impressionante rispetto a quando c’era Messina Denaro. Ho una villetta al mare a Tre Fontane a cui ieri hanno rotto il cancello per entrare a rubare, fortunatamente lì d’inverno non ci sono e non lascio nulla, gli è andata male questa volta.
Sì, perché il boss della provincia di Trapani è ancora amato e stimato da una precisa parte di popolazione: gli anziani, nati dagli inizi degli anni sessanta in giù. Delle persone che l’hanno conosciuto direttamente o indirettamente durante gli anni della sua giovinezza. Matteo Messina Denaro era un mafioso atipico. Alla vita monacale preferiva il divertimento, i vestiti firmati e le belle donne, tutti vizi mondani condannati apertamente dal suo predecessore Totò Riina e della cultura mafiosa. Alcuni lo ricordano poco più che diciottenne, quando sfrecciava fra le strade di Castelvetrano a bordo di una Ferrari - mentre in paese tutti camminavano ancora con il carretto trainato dai muli - con una folta chioma di capelli così lunga da riuscire quasi a coprire gli occhi, sempre nascosti da degli occhiali da sole a goccia della “Carrera” con lenti scure. Ma continuiamo a parlare con il nostro interlocutore.
Lei lo ha mai visto di presenza?
Negli ultimi 40 anni no, forse una volta in una festa estiva di liceali a Tre Fontane ma di sfuggita. Lui era solito uscire ogni sera con gli amici a divertirsi, era di buona famiglia, ricco, bello e se lo poteva permettere, nessuna ragazza riusciva a dirgli di no, da giovani lo invidiavamo tutti e volevamo essere come lui.
Non era di buona famiglia, era figlio del boss di Castelvetrano, fedelissimo dei corleonesi, ma perché le ragazze non riuscivano a dirgli di no?
Ai tempi per qualsiasi ragazza a Castelvetrano sarebbe stato un onore imparentarsi con i Messina Denaro e diventare la nuora di don Ciccio, era davvero una brava persona, trovava lavoro per tutti e faceva stare bene un paese intero, su di lui sono state dette una marea di minchiate negli anni. Non era mafioso, era troppo buono.
Dopo aver mostrato il nostro disaccordo con alcuni suoi pensieri l’anziano si allontana insultandoci in dialetto trapanese. Dopo poco siamo costretti ad allontanarci anche dal bar, non siamo più ospiti graditi.
Quel pranzo parlando del Palermo Calcio con Messina Denaro
Il viaggio a Campobello di Mazara continua senza grandi intoppi. Le persone per strada sono pochissime: manca un centro aggregativo o una semplice piazza dove potersi incontrare. L’unico luogo in cui le persone possono vedersi per trascorrere del tempo assieme è una piccolissima rientranza a forma di triangolo nei pressi del palazzo della città. Un paese destinato a morire nei prossimi anni, i ragazzi - appena compiuta la maggiore età - scappano via verso Palermo per fare l’università, senza fare più ritorno se non per le festività. In un contesto simile è difficile credere che Matteo Messina Denaro non si facesse notare all’interno fra le strade di Campobello di Mazara: uno straniero ricchissimo che riusciva a spendere anche settecento euro per una cena per due, che si presentava come il geometra Andrea Bonafede. “Di Bonafede a Campobello ce ne sono soltanto due - ci racconta il titolare di un ristorante della via Roma - uno è quello che è arrestato per aver prestato la propria identità a Messina Denaro il secondo è pure molto conosciuto. È impossibile che nessuno abbia avuto un sospetto venendo a contatto con un terzo Andrea Bonafede mai visto prima, questo lo escludo”. Poi l’uomo ci rivela un dettaglio inedito: “Un mio amico mi ha raccontato che qualche mese prima che il boss venisse arrestato si trovava in una tavola calda di Campobello con dei colleghi per la pausa pranzo. L’argomento della giornata era il Palermo Football Club e le sue prestazioni sottotono. A un certo punto si è avvicinato un distinto signore ben vestito, tifoso proprio della squadra del capoluogo e si è unito alla discussione: era Matteo Messina Denaro. Diverso tempo dopo quando venne arrestato il mio amico e i suoi colleghi rimasero pietrificati davanti alla televisione constatando che l’uomo con il quale avevano scambiato delle amichevoli considerazioni calcistiche era in realtà l’ultimo padrino di Cosa nostra”.