La Ferrari, gli occhiali in velluto, i ristoranti di lusso. Prima di tutto questo, per Lapo Elkann c’è stata Cuneo. E la naja, trascorsa come alpino di leva nel Secondo reggimento, battaglione Alpini Saluzzo, 106esima compagnia: “Sono orgoglioso di essere stato un alpino di leva, un’esperienza formativa che mi ha lasciato ricordi meravigliosi e amicizie importanti”, ha detto l’imprenditore e nipote dell'Avvocato Gianni Agnelli in un’intervista sul Corriere della Sera rilasciata al giornalista Massimo Massenzio, suo commilitone fra il 1999 e il 2000. Un' adunata di sentimenti consumatasi sulle pagine di giornale poco prima della 96esima Adunata nazionale degli Alpini, in programma a Biella fino a domenica alla quale Elkann ha detto che non parteciperà “per impegni lavorativi”. Ma, avvisa, “a tutti i miei frà’ che da domani si ritroveranno a Biella dico che di sicuro non mi perderò la prossima adunata”. Ok Lapo, questa ce la segniamo.

Ma ripercorrere quell’anno di umiltà – “Sognavo di essere un alpino di truppa, senza privilegi” – evidentemente stuzzica Lapo, che paragona il proprio peregrinare tra il centro di addestramento di Belluno, Cuneo e il corpo degli sciatori a Bousson, a quello di Totò nel film Totò a colori e di Peppino Prisco, storico presidente dell’Inter. Ma la verità, ripete Elkann nell’intervista, è che lui voleva “essere uno come tutti gli altri”. Per qualche mese, in fondo, può starci. Suona quasi esotico. Gli venne in soccorso il fatto che nessuno, o quasi, ai tempi, da quelle parti associasse il cognome Elkann alla famiglia Agnelli ("un sottufficiale mi chiamava Agnellino", riporta il Corriere). Con il nonno Gianni, però, una volta racconta di essere andato allo stadio scambiandosi di turno con un commilitone. Ma fu beccato: "Mi toccò lavare decine di teglie incrostate e centinaia di piattI". Certo, il fatto che fosse nato a New York qualche sospetto avrebbe potuto destarlo, ma per sua fortuna “il furiere anziano” – che non sapeva scrivere il suo nome – “era convinto che scherzassi”. Fra i camerati provenienti da ogni dove Elkann racconta di aver “capito” l’Italia, “da nord a sud, chiacchierando con commilitoni calabresi, romani, trentini e piemontesi”.

Non senza difficoltà, sia chiaro. Le gerarchie, le flessioni per il letto rifatto male, il servizio in mensa passato a scrostare teglie, le marce in montagna. Tutte cose funzionali a dare alla famiglia più ricca e potente d’Italia una “dimensione terrena e quasi popolare”, almeno nell’età dell’adolescenza, prima di guidare l’industria del Paese. Ma che, nelle parole di Lapo, ha donato anche ricordi intimi di gioia: "Il più importante è legato a mio zio Edoardo, che non c’è più. Lo amavo moltissimo ed era venuto a trovarmi in caserma quando ero a Bousson e aveva assistito alla cerimonia dell’alzabandiera. Lui non aveva fatto il militare e mi ricordo la sua emozione quando mi vide schierato nel plotone, in divisa. Ricordo il sorriso, la gioia nei suoi occhi". E forse, chissà, proprio per il gusto dell’evasione da quell’avvenire che sembrava segnato, Elkann affida alle sue memorie d’alpino alcuni dei più bei momenti di quegli anni: “Mi sono trovato a trasportare pezzi di mortaio su per le montagne, ma la fatica la facevamo tutti insieme. E poi alla sera ci raccontavamo la giornata. Io non ero il figlio di qualcuno o il nipote di qualcun altro. Ero Lapo e basta, con i miei difetti e i miei pregi”.
