Qualcuno trovi un veterinario per il cavallo Rai, che è sempre più malato. Tra palinsesti, conduttori e piani editoriali, l'unico dato certo è che il pubblico si sta stancando, e contemporaneamente dimostra la sua stanchezza con un gesto semplice ma letale: cambiare canale. I dati sono sotto gli occhi di tutti, ma c'è un dettaglio mancante: in termini di entrate economiche e pubblicitarie, quanto avrà perso la Tv di Stato in proporzione al calo di ascolti? Le aziende e i brand sono ancora disposti a pagare inserzioni all'interno di programmi che vengono visti da un numero decrescente di spettatori, oppure scappano altrove? Le variabili in gioco sono diverse, e il calcolo non sarà matematicamente perfetto, ma a livello teorico il discorso ha una sua logica: proviamo a immaginare che il numero di spettatori sia direttamente proporzionale alle entrate pubblicitarie, e che lo stesso valga in negativo. Il risultato? Partiamo dagli ascolti.

Secondo i dati Agcom, tra il 2020 e il 2024, la Rai ha perso oltre 1,07 milioni di spettatori nel giorno medio, con una flessione del 25,1%. Un quarto del pubblico, evaporato come gli ascolti del Tg1 delle 13.30. E non parliamo solo di un fisiologico calo legato alla frammentazione dell’offerta o all'avanzare delle piattaforme digitali: qui siamo davanti a un crollo verticale della fiducia nei contenuti proposti dal servizio pubblico. Qualche esempio? Rai 2. Il canale, che una volta ci provava ad avere un taglio sperimentale e dinamico, oggi è un cimitero di format fallimentari: La Fisica dell'Amore è crollato da 602.000 a 269.000 spettatori in una settimana, mentre The Floor e Se mi lasci non vale faticano a superare il 3% di share. Rai 3, da parte sua, arranca con talk e inchieste che non fanno più notizia. Lo Stato delle Cose, ad esempio, ha ottenuto 667.000 spettatori (3,81% di share) il 20 gennaio 2025, in netto calo rispetto alla settimana precedente. Perfino programmi di approfondimento come Indovina chi viene a cena si fermano al 6,3% di share. Il tutto mentre Rai Gulp e Rai Premium segnano minimi storici, con share rispettivamente dello 0,10% e dell'1,05% a febbraio 2025. E non va meglio ai talk politici: Agorà e Restart si aggirano mestamente tra il 2% e il 3%.

Ed ecco il punto: meno pubblico equivale a meno soldi. Rai Pubblicità, la concessionaria interna che gestisce gli spot, basa le sue tariffe sugli ascolti. Uno spot di 30 secondi in prima serata può valere tra i 30.000 e i 100.000 euro, ma durante eventi speciali come il Festival di Sanremo si sale oltre i 150.000 euro per 15 secondi. Mentre i vertici Rai litigano su palinsesti e nomine, i telespettatori fanno l’unica cosa sensata: cambiano canale. I numeri parlano chiaro, e sono tutto tranne che confortanti. In quattro anni, la tv di Stato ha perso oltre un milione di spettatori, un calo del 25,1% secondo i dati Auditel raccolti da Agcom. Un quarto del pubblico sparito. Magia della televisione. I segnali erano lì da tempo, bastava guardarli. La domanda è: quanto costa tutto questo alla Rai? Spoiler: tanto. Gli spot mandati in onda durante le trasmissioni valgono oro, o almeno lo valevano. Nel 2023, la Rai ha incassato circa 713 milioni di euro dalla pubblicità. Ma con un crollo di ascolti del 25%, il conto è presto fatto: si rischiano fino a 178 milioni di euro in meno solo per la raccolta pubblicitaria. Senza contare il danno d’immagine e il calo di appeal verso sponsor e inserzionisti. Come se non bastasse, la Rai si è vista tagliare il canone: da 90 a 70 euro l’anno. Un risparmio per gli utenti, certo, ma una mazzata per le casse dell’azienda, già limitata da un tetto massimo del 6% di affollamento pubblicitario. Meno spazi vendibili, meno soldi, meno possibilità di investimento. Il tutto mentre le piattaforme streaming fanno il pieno di abbonati e le nuove generazioni vedono la televisione come se fosse un soprammobile. La Rai ha davanti una scelta: rinnovarsi o continuare a trasmettere programmi dimenticabili per un pubblico che non c’è più. E se Affari Tuoi e Sanremo riescono ancora a far sorridere il cavallo di viale Mazzini, il resto del palinsesto lo fa stramazzare al suolo.

