Carissima e solertissima Codacons, c’è chi è favore di Sanremo. Chi è contro Sanremo. C’è chi vorrebbe ascoltare solo canzoni, chi invece s’ingrassa a popcorn per le parti “impegnate”, e chi si nutre del quotidiano rancio di meme e perculate, sempre ottimo e abbondante sui social. Si chiama festival ed è un festival che mescola di tutto un po’: messe cantate sulla Costituzione all’augusto cospetto del Capo dello Stato, sbroccate di ventenni che forse dovrebbero imparare a cantare senza l’aiutino della cuffietta, una letterina da quinta elementare di influencer con 26 milioni di follower che parlano a un target tarato sul mezzo secondo di scroll dei reel su Instagram (se avete più di 50 anni e non ci avete capito niente, per la vostra fascia ci sono Gianni Morandi, Al Bano e Massimo Ranieri), la compagna di Enrico Mentana che parla di carceri minorili, tema drammaticissimo, per poi ripartire con il sorriso stampato di “Ama” e le sue gag con “Gianni”, e al fin, attesissimo da Matteo Salvini e dai fan della saga Ferragnez, l’immancabile Fedez.
Il rapper-conduttore-protagonista di sé stesso Federico Leonardo Lucia è l’esempio perfetto per capire come mai il Festival della Canzone Italiana interessa ai politici tanto quanto ai discografici: dall’alto della sua popolarità, lui sa che ha un potere di richiamo maggiore di una qualunque Elly Schlein. O anche di un tiktoker ottuagenario ma non domo, tal Silvio Berlusconi, che difatti Fedez, nel suo freestyle prodotto dal compare Salmo, ha voluto omaggiare sia pur per liquidarlo come “Napoleone con la sindrome del nano”. Un accenno anche simpatico, se confrontato con l’attacco diretto al governo in carica, andando a ripescare e a strappare la foto di Galeazzo Bignami, viceministro delle infrastrutture, vestito con un svastica al braccio in un party giovanile, o definendo “cazzate ai quattro venti” le idee anti-abortiste di Eugenia Roccella, ministro della famiglia. E chi se ne frega se andrà in escandescenze l’occhiuta vigilanza consumatori, che poi sareste voi della Codacons: lui è un musicista e può dire quel che gli dice l’ispirazione, ha superato pure un cancro e tutto questo lo dedica a Gianluca Vialli, che di cancro è morto.
Al netto del giudizio che si possa avere sull’arte che produce o sul furbo personaggio che è, ci mancherebbe che Fedez, come del resto qualsiasi altro artista, non possa esprimere la propria discutibile opinione su quel che gli pare. La Rai è pubblica, cioè di tutti coloro che pagano il canone, non solo degli haters di Fedez. Se uno ha le carte in regola per calcare quel palco sovralimentato a polemiche, deve poter anche criticare la maggioranza del momento. Cosa in realtà non scontata, come dimostra l’abile allusione dell’ultra-tatuato al fatto che il testo di cui sopra non era passato dal visto della censura interna. Excusatio non petita, ma necessariamente manifesta. Perché concordare prima di andare in onda è innegabilmente una forma di censura. A differenza che nel concertone del 1 Maggio 2021, quando un tentativo per mettergli la mordacchia sull’argomento Ddl Zan pareva esserci stato, qui probabilmente i pieni poteri ad Amadeus, aureolato com’è di successo, hanno evitato il preventivo controllo della tv di Stato.
Molto più notizia dovrebbe fare, invece, la supina accettazione da parte della destra trionfante dell’egemonia artistico-culturale di sinistra (diciamo così) nel rito nazionalpopolare per eccellenza, secondo solo al campionato di calcio, che è Sanremo. Uno che ha brindato a schietto vino autarchico per l’ascesa a Palazzo Chigi del governo più a destra della storia repubblicana è costretto ad assistere alla sfilata di personalità orientate tutte in direzione opposta, da Benigni ai Ferragnez passando per Drusilla Foer (senza contare i virgulti testimonial del gender fluid, da Madame a Rosa Chemical). Ciò a riprova di due fatti difficilmente contestabili: primo, che sopra ogni cosa vale l’articolo quinto, chi porta share, e quindi denari pubblicitari, ha vinto, e i nomi scelti da Amadeus i risultati li fanno, punto e a capo; secondo, che per bilanciare l’immaginario medio dell’attuale sinistra, che ha smesso da mo’ di essere comunista per diventare sordidamente luogocomunista, ci vorrebbero artisti che la pensano, per semplificare, a destra, o comunque non a sinistra. Ma che garantiscano di sbancare l’auditel. La famosa egemonia di sinistra resiste anche con una Rai in mano alla destra semplicemente perché la bolla mediatica è dominata dal mercato, e il mercato preferisce messaggi che invitano a dire sì a tutto, a vivere come ci aggrada perché così aumentano i desideri e bisogni, per i quali l’invisibile mano del business produce il prodotto o servizio apposito.
Dimenticavamo: ci sono anche coloro che si arroccano nel disdegnare Sanremo con aristocratico disprezzo. “Comunque 46 milioni di #italiani hanno fatto altro, non mandando il cervello all’ammasso. Una buona notizia per il Paese”, ha twittato, per citarne uno, Antonello Piroso. Fra i contestatori della kermesse sacra a viale Mazzini, questa è la posizione più coerente. Ma ha un difetto: vorrebbe fingere di ignorare che per un’intera settimana, la Settimana Santa degli introiti Rai, il nostro Paese, volente o nolente, vede trasferirsi la capitale lì, tanto che Mattarella quest’anno ha pure presenziato, dando alla sagra il sigillo quirinalizio. Forse, visto e considerato che parlandone in qualunque salsa, anche per esibire il proprio senso di nausea, si finisce con il partecipare alla commedia delle parti, l’atteggiamento più intelligente è quello di Rocco Tanica, che dalla sua postazione social si affida all’ultima arma della mente pensante: l’ironia distillata in poche righe. “Minchia ci si sbellica con Angelo Duro”, “Sethu vince, e questo è un fatto. Ora però bisogna assicurare alla giustizia il suo parrucchiere”, “Anch'io come @ChiaraFerragni credo che il corpo non debba generare mai odio o vergogna, però non vado in giro a minchia di fuori”. Sanremo è vivo, le canzonette un po’ meno e io, dopo aver scritto questo articolo, non mi sento tanto bene.
Annoiati saluti, lo scrivente.