Se vogliamo reperire il dato su quante donne sono morte in incidenti stradali nell’ultimo anno, possiamo reperirlo. Se vogliamo sapere quante donne hanno commesso un suicidio, possiamo saperlo. Se vogliamo conoscere il numero di donne morte per omicidio, possiamo conoscerlo. Ma se vogliamo capire quanti di questi omicidi possiamo definire “femminicidi”, la strada diventa più tortuosa. C’è infatti un aspetto fondamentale che dobbiamo considerare: i dati sui femminicidi non sono così precisi come si potrebbe pensare. La difficoltà principale risiede nel fatto che non esiste un criterio per definire un caso di femminicidio, e spesso il numero complessivo riportato non tiene sufficientemente conto di un elemento essenziale: il movente. Non è un caso che fonti diverse citino numeri diversi e questo vale sia per testate giornalistiche sia per portali indipendenti. Ma facciamo un passo indietro: che cosa intendiamo ad oggi per “femminicidio”? Molti ripeterebbero che con questo termine ci si riferisce all’uccisione “di una donna in quanto donna”, ma questa spiegazione non aiuta realmente a capire che cosa si intende; somiglia piuttosto a uno scioglilingua fine a sé stesso da recitare a memoria giusto per poter dire di aver risposto alla domanda di cui sopra. Cercando di essere più accurati possiamo dire che con “femminicidio” ci riferiamo a tutti quei casi in cui delle donne vengono uccise per una motivazione inerente e/o riconducibile al loro genere. Diciamolo ancora meglio: non fossero state donne, quell’omicidio non sarebbe avvenuto. Per capirci: un omicidio di una donna commesso da parte di uno sconosciuto durante una rapina non è definibile tecnicamente “femminicidio”, poiché manca la componente specifica del genere. Al contrario, un omicidio avvenuto per mano del partner lo definiamo invece femminicidio, motivando questa decisione con l’assunto che un atto così violento possa essere esclusivamente frutto di una secolare cultura patriarcale.
Andrebbe in realtà fatta un’analisi più approfondita quando si tratta di omicidi domestici; rischiamo infatti di considerare erroneamente tutti gli omicidi domestici come femminicidi, sottovalutando l’esistenza di gravi problematiche psicologiche individuali che prescindono dal genere del partner e/o dinamiche bidirezionali tossiche e violente all’interno della coppia che possono sfociare in un omicidio senza che però il genere della vittima sia un elemento causale o anche solo correlato; non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di omicidi tra partner non eterosessuali. Diciamo che possiamo affermare con una certa sicurezza che un omicidio compiuto da un marito (o un ex) che ha dimostrato più volte di essere geloso e possessivo si possa includere tranquillamente tra i femminicidi. È necessario invece indagare più approfonditamente il movente di un omicidio domestico laddove questo non sia chiaro: sono molti, ad esempio, i casi di partner anziani che uccidono l’altra persona in quanto sofferente e malata (omicidio pietatis) oppure i casi in cui il movente è unicamente di tipo economico. Questi casi non andrebbero inclusi tra i “femminicidi” come invece spesso viene fatto, in quanto pur trattandosi di omicidio domestico, il genere del partner non ha a che fare con il movente.
Altri omicidi definibili invece con certezza “femminicidi” sono quei casi in cui ad esempio viene uccisa una donna a seguito di un rifiuto di avance sessuali da parte di uno sconosciuto o i casi in cui una donna viene uccisa a seguito di un abuso sessuale. Considerate che per ognuna di queste fattispecie descritta ne abbiamo lasciate fuori altrettante. Insomma, per conoscere realmente la portata del fenomeno non basta aprire il sito Istat e scegliere un numero che ci piace. Come avrete capito se siete arrivati fino a qui diventa davvero necessario analizzare il movente di ogni singolo caso. Solo attraverso questa analisi è possibile distinguere gli omicidi legati alla violenza di genere da altri omicidi che semplicemente vedono come vittime donne. È un lavoro complesso, che richiede risorse e competenze ben precise, ma che rappresenta l’unico modo per avere dati affidabili e utili. Questa mancanza di precisione nei dati non solo rende difficile comprendere la vera portata del problema, ma rischia anche di facilitare distorsioni e strumentalizzazioni. C’è chi, infatti, sfrutta questi numeri poco chiari per minimizzare o sostenere che si tratti di un fenomeno trascurabile e che tutto sommato non debba meritare tutto questo spazio nel discorso pubblico. Al contrario, c’è chi giocando proprio sull’impossibilità di avere di un dato esatto, include casi del tutto irrilevanti al fine di gonfiare, persino raddoppiando, la portata del fenomeno, contribuendo a generare paura anziché informazione (consultare la nostra inchiesta sull’associazione Non Una di Meno) Per concludere, riteniamo che per affrontare seriamente il problema dei femminicidi sia fondamentale partire da dati chiari e precisi. Senza questo primo passo, non è possibile e non sarà mai possibile farne un secondo.