L’ultima enciclica di Papa Francesco si intitola Dilexit Nos, ossia “ci ha amati”, come disse San Paolo riferendosi a Cristo nella Lettera ai Romani (8,37). Questa espressione enuncia il significato del suo pontificato e consente di scorgere il mistero divino che si mostrava attraverso di lui. Egli non ci ha rivelato la natura miracolosa e la forza di Dio come Giovanni Paolo II, non ha voluto dimostrare che Cristo è il Logos perché questo era il compito di Benedetto XVI, bensì l’amore infinito di Gesù. In quest’opera Francesco elogia la fede semplice, quella definita dalla devozione sincera, dall’incontro intimo e amicale con il crocifisso, dalla preghiera del cuore: «Confido in Te. Non servono altre parole» (90; i numeri tra parentesi indicano il paragrafo dell’enciclica). È la fede dei nostri nonni, radicata, virtuosa e quotidiana, che abbandona l’uomo a Dio nella consapevolezza dei propri limiti e della propria debolezza; non è necessario il rigore scientifico della teologia, ma la tenerezza della pietà popolare. Infatti, la conoscenza approfondita, la riflessione colta o il sapere erudito non esprimono la razionalità, la verità o la saggezza della fede. Quando guardiamo il crocifisso «non siamo di fronte a una semplice contemplazione intellettuale di una verità teologica» (103), si tratta di un incontro d’amore in cui è essenziale l’ardore del proprio cuore che desidera il Signore (160). Insomma, Papa Francesco ci ha insegnato la lezione di Sant’Egidio secondo cui un povero uomo ignorante può amare il Signore suo Dio meglio e più perfettamente del migliore dei teologi.

Forse è andato oltre, in quanto ha sostenuto che l’uomo di buona volontà, desideroso di bene, ma immerso in un tortuoso cammino di fede, non può essere giudicato poiché nessuno può ritenersi tanto cristiano e vicino alla Verità da poter giudicare l’altro. È la forza invincibile della misericordia e della carità. Il nostro perdono può avvenire soltanto quando ci riconosciamo uomini o donne da perdonare; è importante comprendere che non si deve essere indulgenti con sé stessi perché diventeremo inflessibili con gli altri, mentre se siamo fermi con noi stessi diventeremo misericordiosi con il prossimo (190). Dobbiamo allora imitare Cristo perché la misericordia è un Suo dono: credo che l’immagine più conforme al pontificato di Francesco sia quella del buon ladrone, egli ha voluto essere come Cristo sulla croce, il quale perdonò e portò in paradiso il criminale, il misero, l’indisciplinato, il debole e poi il povero, l’indegno e l’emarginato. Così, risulta fondamentale l’amicizia con Cristo, intima e personale, cor ad cor, con l’aiuto dei santi, attraverso cui l’anima si accorge della sua vera casa, «dove l’amore regna in pienezza» (105). Gesù è colui che ha cambiato la storia del mondo poiché ha reso più degno d’amore il più debole, il sofferente e il misero (170); è il principe della dignità umana, colui che ci ha amati per primo, l’unica persona che ha sopportato tanto dolore per la nostra salvezza e, essendo lui nostra origine, conosce l’infinito valore di ognuno di noi. Siamo all’interno di una tautologia dell’amore: amo colui che mi ha amato, colui che ha voluto rivelarsi, farsi vicino ed essere come noi. Egli “ha voluto amarmi con un cuore umano” (60), ha pianto e sofferto come noi. Ci ha amati per redimerci, ovvero per realizzare compiutamente la nostra natura perché soltanto nell’amore diventiamo ciò che siamo veramente (21-59).

Inoltre, Francesco ci ricorda in molte parti del testo che la fede è un bussare insieme alle porte del Signore. Chi ha una fede sincera non riesce a trattenere tale fervore solo per sé, sente infatti il bisogno di condividerlo agli altri: si tratta di un amore ineffabile di cui però è impossibile tacere. Per sua natura la fede evoca un movimento che ci spinge verso gli altri nella nobile prospettiva del servizio. È un impulso che ci ordina di dare la propria vita per il prossimo, ognuno secondo la propria vocazione. Questo chiarisce il legame indissolubile fra la fede e la carità, cioè amare Cristo è la chiave per amare realmente il prossimo (178). Allo stesso modo, noi credenti non dobbiamo accusare colui che non crede o gridare i precetti evangelici e le riflessioni teologiche ai nostri amici lontani dalla Chiesa; Francesco ci ha assicurato che verremo ascoltati dagli altri a percorrere la via del cristianesimo per una nuova umanità quando vivremo con cuore puro il Vangelo, se noi per primi ci impegniamo a rivolgere la nostra vita verso l’amore infinito di Cristo: «Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro» (215). Il nostro scopo è «far innamorare il mondo» di un amore che ha la forza di salvare. Ecco, questa enciclica, pubblicata alla fine di ottobre dell’anno scorso, è l’ultima testimonianza di Papa Francesco, un profondo messaggio che invita, come una supplica, tutto il mondo a ritornare a Cristo.
