Giorno nove, Sazan e Karaburun. È di nuovo l’ora che anticipa il tramonto, ma stavolta, benché sia arrivato a casa, e nonostante io abbia passato la giornata a proprio lì dove ieri il sole si è affogato, tingendo di rosso cielo e mare, non mi posso godere lo spettacolo. E non certo perché sono qui a scrivere, questa è una tipica finzione narrativa che consiste in me che vi dico che è un determinato momento della giornata e che in questo determinato momento io sono in un determinato luogo a fare una determinata cosa, sul terrazzo di casa che abbiamo in affitto qui, dopo Valona, a Redhemi, all’ora che anticipa il tramonto, l’isola di Sazan (Saseno) e il promontorio di Karaburun a fare da schermo al sole tramontante, e voi che mi credere ciecamente, per quel patto non scritto tra chi scrive, appunto, e chi legge, mentre nei fatti io sto scrivendo sì queste parole seduto sul terrazzo mentre il sole è appena tramontato, ma poi smetterò per andare a cena, e finirò solo dopo aver mangiato, mentre qui l’idea che voglio far passare è che io abbia impiegato a scrivere esattamente il tempo che voi impiegate a leggere. Fatto di per sé anche abbastanza credibile, scrivo molto velocemente e quasi mai correggo quel che scrivo, in questa mia forma di flusso di coscienza, ma con tutte le variabili del caso, come del resto è soggetto a altre variabili il vostro leggermi, che potrebbe accadere in una unica soluzione, magari mentre state seduti sulla tazza del cesso, io davanti a un tramonto, voi di fianco alla lavatrice, per dire, o a pezzetti, qualche riga ora, poi più tardi, forse domani. forse mai, e in questo caso non saprete mai cosa io abbia fatto di diverso da ieri, all’ora che precede il tramonto, né nel corso della giornata (sì, lo so, ho detto già che sono stato a Sazan e Karaburun, ma se non ci siete già stati anche voi non avete idea di cosa abbia fatto, anche se aver già parlato di Tony a più riprese ha in effetti spoilerato molto, dannazione). Comunque, oggi nell’ora che anticipa il tramonto sono sempre a casa, e sempre affacciato, con prudenza, a un balcone senza balaustra, nello specifico quello di una delle camere da letto, le mani appiccicose per aver da poco mangiato un paio di saporitissimi fichi colti dall’albero che sta giù di sotto, dove lascio la macchina, e il rosso che sto vedendo non è offerto dal sole che si specchia su cielo e mare, ma da un focherello nelle sterpaglie che si trovano proprio a ridosso della strada che porta fin qui, focherello che ho intuito perché ho visto del fumo e che man mano che lo guardo diventa sempre più grande. Un breve passo indietro, assodato che trovare casa non è così difficile come sembrava la prima notte, sia ieri che oggi, rientrando nel tardo pomeriggio, ci ha accolti nel cortile sotto la palazzina che ospita l’appartamento dove alloggiamo, palazzina nuovissima, talmente nuova che solo il piano dove stiamo noi, la palazzina ha un appartamento a piano, è finito, per il resto sono solo mura grezze senza finestre o altro, dicevo che sia ieri sia oggi ci ha accolto nel cortile un signore anziano, credo un vicino cui i padroni di casa hanno affidato un qualche compitato di manutenzione. Ieri ci ha regalato sei uova appena sparate dal culo della gallina, oggi ci ha detto di prendere i fichi, questo dopo averci rimproverato, in albanese, ormai capiamo le lingue come gli apostoli dopo la resurrezione di Cristo, per aver lasciato una persiana non ben agganciata che ha sbattuto tutto il giorno per il vento. Visto il focherello che si faceva fuoco, manco fossi Jacopone da Todi, decido di scendere con mio figlio grande per avvisare il tipo, che però non so in quale della case qui intorno abiti, così da capire se è un incendio controllato come quelli che fanno i contadini per bruciare le sterpaglie o qualcosa di incontrollato, come il fuoco casuale di uno che butta un mozzicone dalla macchina, ma qui non passa nessuno, o quello voluto da un piromane che vuole rendere edificabile una zona boschiva, ma siamo in Albania e di case nuove, nel senso di in costruzione, spesso lasciate a metà, se ne vedono a centinaia, o magari la prima ipotesi, con però Morandi al posto di un esperto contadino. Non sapendo dove abita il tipo mi affido al caso, nel mentre il sole è davvero tramontato, vado nella casa che si vede dalla cucina, chiamo e mi viene incontro non il tipo ma una signora della mia età, se avete l’impressione che sti andando fuori tema, raccontando un episodio che con il mio viaggio in Albania potrebbe avere poco a che fare, primo state facendovi beffe del patto tra scrittore e lettore, perché sono io lo scrittore e io decido cosa sia utile raccontare o meno, a volte forzando pure la realtà a fini letterari, anche in un reportage, la parola scritta è sempre mediazione e quindi finzione, secondo, avete capito poco di come scrivo, perché è proprio del viaggio in Albania e di Albania in generale che sto parlando, ben più che se mi fossi concentrato su aspetti più turistici, per quelli ci sono le centinaia, non esagero, di articoli che tutti i giorni quotidiani e siti stanno dedicando al boom turistico dell’Albania quest’anno, parlando di nuove Maldive del Mediterraneo, quindi imbastendo un preciso confronto col Salento, e più in generale contrapponendo la parola low cost, legata a questa terra, al rincaro dei prezzi in patria. Comunque chiamo e arriva una tipa, che a mia precisa domanda, “capisce l’italiano?”, risponde di no, chiamando immagino sua figlia e passandomela al telefono. Allora dico alla voce al telefono che c’è un fuoco, spiego dove, spiego che non c’è nessuno li, manco Gianni Morandi, e specifico che si è abbastanza ingrandito nel giro di pochi istanti. La voce al telefono mi dice che è tutto normale, non c’è problema, poi lo dice in albanese alla madre, sempre che la voce sia della figlia della nostra vicina, e non magari una amica, al che la madre fa segno, “vai sereno”. Cosa che ovviamente faccio, in apparenza, nel senso che vado, ma senza un briciolo di serenità, perché stiamo in una palazzina su una collina piena di sterpaglie, alberi, verde, e non vorrei finire su un giornale come parte della “famiglia di italiani costretta a scappare dalla provincia di Valona, ancora incendi a tormentare le vacanze dei nostri connazionali dopo quelli di Rodi e di Corfù”, che per la cronaca è proprio di fronte a Ksamil, in teoria, incendi permettendo, nostra ultima tappa albanese. La tipa mi segue, il telefono ancora in mano e la sigaretta in bocca, e mentre noi rientriamo nel cortile, chiudendoci il cancello alle spalle, come se un cancello potesse qualcosa contro gli incendi, lei va a vedere il fuoco, magari per appiccarne altri con la sigaretta.
Oggi siamo andati a fare la gita in barca, che in realtà è un traghetto, chiamarlo barcone qui sembrerebbe indelicato, quella con Tony, quella che abbiamo prenotato appena arrivati a Valona, salvo poi scoprire che non stavamo affatto a Valona, quella che ci ha dato modo di incrociare la famiglia di molisani, il cui maschio adulto, marito e padre, mi ha detto, con sguardo agghiacciato “Valona è una città devastante”. Ecco, loro, i molisani la gita in barca l’hanno fatta ieri, e quindi stamattina alle 9 siamo arrivati al molo, in anticipo di venti minuti sul programma, dopo aver parcheggiato la macchina dentro il porto in un campo di pietre che qui chiamano non certo senza fantasia parcheggio, due euro un giorno, almeno il prezzo è coerente con la location, e quando abbiamo scoperto, in ordine di comparizione, che Tony oggi non ci sarebbe stato, perché impegnato in una gita, che lo sostituiva una ragazza di Roma che, per sua ammissione, non ha mai fatto queste crociere, che la barca che avremmo preso non è la Acquamarina, come concordato, ma la Regina, per una faccenda di overbooking, peccato che però al banchetto che sta di fronte alla Regina non ne sappiano nulla, la tipa romana dovrà chiamare Tony e passarglielo, e poi la Regina non sarà la Regina, ma una barca della stessa flotta, sempre di legno, ma senza nome, e anche il pranzo di pesce che abbiamo prenotato e già pagato non sarà di pesce, ma di carne, e la tipa neanche verrà con noi, ma si limiterà a far da tramite tra Tony e questi di questa compagnia, lasciandoci in balia di noi stessi, ecco, io proprio in questo momento qui, e lo sto scrivendo al presente anche se tutto ciò è accaduto ormai dodici e passa ore fa, non è più neanche l’ora del tramonto, ho già fatto la doccia e cenato, e l’incendio, per la cronaca, dopo poco che la tipa con la sigaretta l’ha visto si è in effetti spento, ecco, io in questo momento qui, cioè oltre dodici ore fa sul molo, di fronte a una nave che non ha manco il nome avrei dato non so cosa per avere al mio fianco il molisano e sentirgli descrivere questa situazione, se Valona era devastante dopo poche ore che ci era arrivato, pensa dopo tutto questo, invece niente, né Tony né lui. Fortunatamente però, come nel discorso di Steve Jobs i puntini si uniscono, come l’incendio che ho visto dal terrazzo poi si è rivelato un fuoco letteralmente di paglia, così quella che poteva essere una giornata, per dirla alla molisana, devastante, si è invece dimostrata una giornata da dieci e lode. Sotto tutti i punti di vista. Perché se agli albanesi manca sempre qualcosa per poter dire di aver fatto tutto a puntino, non un puntino di Steve Jobs, uno qualsiasi, è anche vero che tutto però poi si dimostra sempre assai meglio di come sembra o lascia intendere, e anche in questa raffazzonatezza, in questa imprecisione, in questo pressappochismo si trova il segreto del fascino di questa terra, sempre lì lì per essere una vicina di casa che va a controllare il campo in fiamme con la sigaretta in bocca.
La nave senza nome è partita puntuale, con su qualche italiano, pochi, molti albanesi con mariti e mogli di altra nazionalità, e qualche straniero. Durante il viaggio, prima tappa l’isola di Sazan, una signora albanese più giovane di noi sposata con un palermitano e residente con la famiglia a Novara ci ha attaccato un bottone colossale, ovviamente non a me ma a Marina, mia moglie, narrandoci le bellezze della sua terra, sia quella che già abbiamo visitato, quindi confermando quello che avevamo visto coi nostri occhi, sia il resto, quello che non vedremo è quello che invece vedremo nel resto del viaggio. Non risparmiando dettagli, anche non richiesti, con una notevole carica empatica, che quando non parlava con noi ha infuso in altri naviganti, tipo una coppia di fidanzati italiani, lui iperansioso, lei immusonita, che di volta in volta sono stati dissuasi a fare alcune gite, loro sono in scooter, o terrorizzati riguardo la visita di oggi a Karaburun, in questo la tipa è stata coadiuvata dal marito, che ha sostanzialmente detto ai due che non avrebbero né mangiato né trovato ombrellone e sdraio, oggi fa caldissimo, perché le callette dove la nostra e le altre navi che sono partite dal porto, sia l’Acquamarina, quella che avremmo dovuto prendere con Tony, sia la Regina, sia altre, tipo un veliero dei pirati, sarebbero tutte finite li, lasciando migliaia di persone a contendersi pochi ombrelloni e due tozzi di pane raffermo, al punto che il ragazzo è sceso di sotto, il viaggio lo abbiamo fatti nel terrazzo sopra, sotto il solleone, per goderci il panorama, del tutto intenzionato a arrivare per primo almeno al ristorante. E quando poi non ha empatizzato con qualcuno ha fatto casino con la sorella, sposata invece con un inglese, lei mora la sorella bionda, lei abbastanza casual, la sorella molto in tiro, bikini figo, trucco figo, gioielli fighi, entrambe scatenate quando il dj di bordo, in questi traghetti la musica viene sparata a bordo a volumi da denuncia penale, e al nostro fianco c’è a lungo stata una barca, la Chimera, che trasmetteva roba tipo Bomba, Macarena o Lambada, entrambe quindi scatenate quando il nostro dj di bordo ha cominciato a mettere su brani popolari albanesi, rivisitati in chiave per così dire moderni. Roba come Xhamadani Vija Vija o Valle Kossovare, cantata in coro da tutti gli albanesi presenti sulla barca, e ballata da tanti, anche non albanesi, tipo mia moglie, c’è un reel su Instagram che lo attesta, le due sorelle a guidare le danze come fossero due Fiorello prestate alla navigazione. Vere forze della natura, specie la mora, quella che ci ha cantato le bellezze locali, che poco prima di attraccare a Sazan ci ha suggerito di farci un giro per l’isola, a vedere i bunker, tanti, tantissimi, dei tempi in cui Hoxha ha stabilito che questa era una zona fondamentale per la difese della nazione, indicandoci anche, sulle alture, gli appartamenti delle famiglie dei militare i, oggi ruderi di una bruttezza inquietante, peggio di certe case popolari italiane con cui sembra abbiano voluto far pesare la povertà di chi ci sarebbe andato a vivere. Invece è di una bellezza impressionante Sazan, con una spiaggia di fianco al porticciolo dove abbiamo attraccato da lasciare a bocca aperta, suppergiù di fronte alla laguna di Narta e a Zvernec, ma molto molto lontano. Al punto che, complice la sosta di appena un’ora, optiamo per non fare il giro dei bunker, ma di goderci un bagno, accolti in spiaggia da un asino, per altro proprio di fronte all’ennesimo bunker. Tutto bellissimo. Peccato solo duri poco. Poi si riparte, diretti a Karaburun, dice la tipa mora che sarà questione di pochi minuti. In realtà saranno due ore, il fuoco, la sigaretta, prima con sosta di fronte a una gigantesca grotta sulla costa dirimpetto a Sazan, poi alla volta della spiaggia dove mangeremo, si spera, e staremo qualche ora. Confesso che, nonostante i canti, le danze, la bellezza mozzafiato del paesaggio, due ore sono due ore, e due ore tra le dodici e trenta e le quattordici e trenta, col caldo, sembrano anche di più. Di fatto ogni volta che avvistavamo una calletta, ecco che c’era già un barcone ormeggiato, e se non c’era ci stava arrivando giusto prima di noi. Nel mentre vediamo davvero centinaia e centinaia di bunker in mezzo al verde. Mi chiedo come passassero le giornate quei poveri Cristi dei soldati lì, a puntare armi contro il mare.
Alla fine, in senso letterario e letterale del termine, nel mentre è notte, nel mentre che scrivo e sto per andare a vedere le stelle cadenti, oggi è la notte di San Lorenzo, chissà quando mi leggerete voi, magari tra anni, è la notte di San Lorenzo del 2023, per la precisione, alla fine siamo arrivati alla spiaggia di Zhanpovel. Che ve lo dico a fare, strepitosa. Sulla sinistra del molo una spiaggia abbastanza ampia, sulla destra con una ventina di ombrelloni. In mezzo una tettoia di giunchi, il ristorante. Prendiamo un ombrellone e tre lettini, dieci euro, ripeto, un ombrellone e tre lettini in in una spiaggia incantevole dove puoi arrivare solo via mare solo dieci euro, e ovviamente li prendiamo nella spiaggia piccola, e poi andiamo a mangiare. A Tony abbiamo pagato venticinque euro di biglietto per adulti, quindici per i gemelli, ancora sotto i dodici anni. Poi abbiamo pagato quindici euro a testa, tutti, tre per un pasto a base di pesce, due a base di carne. Ci mettiamo in fila e vediamo solo carne. In altri giorni e in altre situazioni mi incazzerei, ma qui è tutto troppo bello e il clima è così rilassato e rilassante, che mangiare carne, una bistecca, una salsiccia piccante, una coscia di pollo, riso giallo, verdure grigliate, insalata, per altro, pasto più che generoso, mi va più che bene. Davanti a me c’è una coppia di Roma che ha prenotato il viaggio in albergo e continua a ripetere ai tipi che servono da mangiare che loro hanno pagato per avere il pesce. La cosa mi fa ridere, e quando il tipo ci chiede, “voi volete il pesce?”, quasi sussulto, non fosse che subito dopo aggiunge, “il pesce non c’è”, tutto secondo copione. Ci facciamo il nostro riposino, il nostro bagno, la nostra passeggiata su una striscia di terra che senza barca non avremmo mai visto, come mai avremmo visto pesci colorati tipo Caraibi, non fossimo venuti qui. Il ritorno è meno frizzante, forse perché una giornata del genere stanca anche le forze della natura. Vedere questo svacco un po’ mi immalinconisce, al punto che sono quasi tentato di alzarmi e andare in mezzo alla pista cantando a voce alta “se tu vedi Mercedesi è sicuro che è albanesi”, canzoncina del tiktoker albanese che i miei figli canticchiano da che siamo qui.
Alla fine desisto, e forse è un bene.
Il mare è anche molto mosso, infatti un ragazzo passa il tempo a vomitare. Arrivati a terra ci addentriamo per Valona per fare un po’ di spesa, e siccome non trovo parcheggio sul lungomare né nei pressi, parcheggio alla albanese, salendo con la macchina su un ampio marciapiede dedito alle passeggiate. Io e Marina andiamo a fare la spesa, con prezzi più umani che nei market lungo i lidi, e quando siamo alla cassa arriva Tommaso, mio figlio grande, per dirmi che la polizia mi sta facendo la multa. Arrivo di corsa, per quanto possa correre dopo una giornata tra barca e mare e, come si fa in questi casi, accampo scuse, dicendo che ce ne erano altre, quindi pensavo si potesse. Per altro è vero, ma mi era chiaro che fosse qualcosa di sbagliato. Il poliziotto anziano, che sta scrivendo la multa, mi tratta come se avessi stuprato sua madre, e mi dice di andarmene, quando chiedo quanto devo pagare di multa, mi fa cenno di averla stracciata. Ringrazio, faccio retromarcia, e imbocco il lungo mare, salendo sul marciapiede circa cento metri più avanti, proprio dove c’è il supermercato. Giusto in tempo per far salire Marina, che arriva di corsa manco avesse rapinato una banca. Poi arriviamo a casa, i fichi, la serranda che sbatte, il fuoco, la sigaretta, l’Albania che giorno dopo giorno mi sembra più imperfetta e poi più affascinante. Ora, però, vado a vedere le stelle cadenti, quelle qui non dovrebbero cadere.