“Nessuno di noi nasce civilizzato”
Giovanni Sartori, La democrazia: cos’è
Ogni volta che torno a Roma vengo sempre colpito dalla sua grande tradizione: mezzi pubblici che non passano, spazzatura fuori dai cassonetti, davanti alle case, tra le auto, lavori in corso – stavolta per il Giubileo – che coprono i lampioni e nessuna luce sostitutiva per illuminare (illuminare cosa poi? Le buche, ovviamente, i sanpietrini divelti, le bottiglie di birra di vetro che rotolano del bordo dei marciapiedi verso la strada, con la schiuma ambrata che appiccica le scarpe. Con le rovine che da simbolo dell’impero che fu diventano simbolo dell’impero che è, anzi, come mi ha detto un amico ingegnere con più senso pratico di me: almeno quelli li mettono a posto.
Nella Capitale c’erano due grandi eventi nella seconda settimana di dicembre, il convegno nazionale di cardiologia della Sic (Società italiana di cardiologia) a Roma fiere e la festa di Gioventù Nazionale, la sezione dei ragazzi di Fratelli d’Italia, gestita Fabio Roscani. Si chiama Atreju, come un eroe che Roberto Saviano si è sbrigato a voler strappare ai suoi nemici (lo ha fatto a Più Libri Più Liberi, non certo una fiera che quest’anno ha potuto vantare comportamenti virtuosi, né tantomeno eroici). Ho ottenuto l’accredito stampa per MOW, all’accettazione ci conoscevano o almeno hanno dato l’idea di conoscerci. Mi chiedono anche un documento. A quelli prima di noi pure e una ragazza fa una battuta: “Sai, dopo quello che è successo…” Intende l’inchiesta di Fanpage, Gioventù meloniana. Che siano rimasti traumatizzati è chiaro. Mesi fa, durante il convegno romano dei Conservatori d’Italia, ho pranzato con i giovanissimi di Gioventù nazionale, parlando ininterrottamente di politica, stupendomi di come fossero molto più propensi a citare Silvio Berlusconi che non Alcide De Gasperi (strani conservatori, gli ammiratori di un uomo famoso, nel bene e nel male, per essere stato un innovatore, con le tv private, e un dissipatore, con i Bunga Bunga e i “camion di troie”). Quando hanno capito che lavoravo per un giornale, per altro dichiarato, hanno cambiato colore in faccia e hanno smesso di scherzare con me.
Questo è solo il secondo trauma di cui si può avere percezione in quel contesto. Il primo è la sparizione della politica. Alcuni hanno elogiato il programma degli interventi, per pluralismo e quantità di ospiti ineguagliato, e anche Donzelli, costretto a intervenire quando parte degli ospiti, già di per sé in minoranza, viene fischiata perché non la pensa come FdI, lo ripete: “Alla festa dell’Unità neanche ci invitano”.
“Alla festa dell’Unità neanche ci invitano, noi siamo diversi, grazie”
Giovanni Donzelli interviene per fermare i fischi contro Bianca Berlinguer e la senatrice del M5s Alessandra Majorino
Il Circo massimo è completamente al buio, tranne quella piccola porzione dedicata ad Atreju. Sembra più un’esca che una festa. Un’arma di distrazione di massa. Alberi di Natale, pista di pattinaggio sul ghiaccio, biscotti, vin brulè, un babbo natale per i più piccoli, così da intrattenere anche i bambini. Una sorta di perverso rovesciamento della comunità olivettiana, in cui c’era posto per tutti nelle fabbriche, dagli operai alle mogli fino ai figli, che potevano anche andare a scuola.
Sabato sera parla Conte: “Non sono io ad aver sfidato Grillo, è Grillo che ha sfidato la comunità”. Come al solito, il re non lo uccide l’erede, ma il popolo. Questo tradimento all’interno del Movimento 5 Stelle è un riflesso spaventoso di un messaggio più generale che sembra veicolato proprio dalla festa di Atreju: non è il populismo ad aver fatto guerra alla vecchia politica, è la politica ad aver tradito le masse. Vai ad Atreju e non pensi che abbiano vinto i sovranisti, ma che non abbia vinto nessuno. Anche il partito egemone è uno spettro, una presenza sfocata la cui unica funzione istituzionale deve essere, agli occhi del pubblico, quella dell’animatore. Panem et circenses.
Oclocrazia. Questa parola un po’ complicata ma chirurgica: potere della plebe, cioè di chi per definizione ha sempre fame, e se hai fame non ragioni. E pure questo sembra, girando per gli stand, concedere troppo a Fratelli d’Italia. Piuttosto, è un risultato involontario della loro attività politica, in cui cose buone e cose estremamente negative si confondono, in cui è possibile tenere insieme una riforma della giustizia che non è bavaglio ai giornalisti, ma una forma di civiltà, e ddl Sicurezza, il delirio necrofilo di chi sogna una società di zombie incapaci di ribellarsi. Mentre provano a darsi un tono, finiscono per sembrare la loro stessa parodia. E lontana dal comprenderlo, la loro base diventa un’estensione di questo fallimento culturale e civile. Appunto, da comunità (parola saggiamente, ma forse impropriamente, usata da Conte per parlare dei M5s) a plebe.
La parodia raggiunge il suo apice la sera dell’arrivo di Javier Milei, a cui è stata data la cittadinanza italiana in tributo delle sue origini calabresi. La cosa ha fatto arrabbiare l’opposizione, che ricorda la marea di stranieri studenti e lavoratori in attesa di ottenere lo stesso riconoscimento. Chiaramente l’opposizione non voleva sentirsi esclusa e aveva bisogno di ricordare appunti quanto anche lei fosse, proprio come la maggioranza, in crisi, che in politica significa non saper pensare. Perché per collegare la cittadinanza simbolica a un capo di Stato con un problema tecnico e burocratico non serve fantasia, ma un blackout mentale da ricovero la cui cura ricostituente dovrebbe essere: dieci anni fuori dal Parlamento. Ma dicevamo di Milei. Un anno di ricetta thatcheriana per un’Argentina a rischio bancarotta che ha portato a risultati prevedibili e, in effetti, annunciati dal presidente nel discorso di insediamento. Nulla di quello che Milei ha fatto somiglia a ciò che vorrebbero i sostenitori di Meloni. Eppure accolgono il presidente argentino come una star, con applausi e standing ovation, avvampando per il suo show sul palco.
Abbiamo bisogno di Simone Cicalone? Andrea Delmastro (sottosegretario alla giustizia):
“Drammaticamente sì”
Se c’è una cosa che i fratelli di questa Italietta non sanno fare è scegliere i propri idoli: Milei, l’anarcocapitalista che odia lo Stato forte, Elon Musk, che ha figli nati con la gestazione per altri (gpa; per loro solamente “utero in affitto”). E poi gli influencer, due su tutti quest’anno: Roberto Parodi, di cui vi abbiamo già detto, e Simone Cicalone, quello di scuola di botte, che va in giro con le telecamere a fermare il crimine insieme ai suoi svariati e incazzosissimi Sancho Panza. Fa effetto vedere come per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, l’Italia abbia bisogno di Cicalone, cioè delle ronde dei cittadini privati. A domanda risponde: “Drammaticamente sì”. E se dovremmo avere pena per quel mondo che ha bisogno di eroi, per parafrasare Brecht, cosa dovremmo provare per un’Italia che ha bisogno, per ammissione del suo stesso governo, dei Cicalone?