Pochi minuto per il ministro della Cultura, Alessandro Giuli ad Atreju 2024, la festa di Natale di Gioventù Nazionale. Ma gli bastano per tirare qualche bomba alla sinistra e ai cineasti. La prima sul momento di crisi attuale e la polemica del tax credit, i finanziamenti al cinema indipendente, che si sta rivoltando con il governo, il primo è stato Nanni Moretti, per la mancanza di fondi (fondi che in passato, come è stato notato, andarono però anche a persone che forse di quei soldi non avevano granché bisogno: una su tutti, Ginevra Elkann): “Si può fare buona cultura, buon cinema, buona televisione, buon audiovisivo, anche in situazioni in cui le risorse economiche non sono così numerose. La sinistra ha dato soldi a chi aveva posizioni di rendita e ha penalizzato anche chi faceva buon cinema. E quando la sinistra ha perso le proprie rendite ha cominciato a dire che la destra è nemica giurata della cultura. La destra è sicurezza, è legalità, è ordine anche nei conti pubblici, è meritocrazia”. Il riferimento è agli sprechi segnalati, tra i tanti, da Marcello Veneziani su La Verità (e di cui vi abbiamo parlato) ma anche dal Foglio, che ha ricordato, fra le poche cose buone fatte da Sangiulinao, proprio questa spending review per amici e amichetti della settima arte.
Non è comunque l’unico tema toccato. C’è l’inevitabile politicamente corretto da affrontare, il topic preferito dalla destra, la stessa che, esultando per la vittoria repubblicana in America, però, non si accorge delle censure “politicamente corrette” degli amici trumpiani (migliaia di libri in un anno secondo una ricerca della Pen). Sugli ipercorrettismi dei moralisti del linguaggio e dell’arte Giuli è molto chiaro e alla domanda “Oggi sarebbero possibili i cinepanettoni con Massimo Boldi e Christian De Sica?” risponde: “Il tema c’è, la sensibilità si modifica con il tempo. Quindi non c’è dubbio che alcune cose non rientrano nei codici della nostra società. Dopodiché badate, che di cultura woke si muore. Se c’è una cosa che la cultura woke produce non è la censura, ma qualcosa di peggiore: l’autocensura”. Una suggestione pasoliniana (chi non ricorda PPP dire una cosa molto simile in televisione, dichiarandosi autocensurato?), che si accompagna con un’altra convinzione giuliana: “Il cinema è radici e verità. I capolavori italiani sono quelli che raccontano la periferia. Dobbiamo tornare a questo”. Giuli poi chiude, telegraficamente, preannunciando la fine dell’ideologia liberal: “Un regime totalitario, un regime di polizia del pensiero si invera quando si autocensura. Ma il politicamente coretto morirà per autofagia. A forza di negare finirà per negare se stesso. Allora saremo più libero e sarà più facile rappresentare le linee di faglia senza paura di sbagliare parole”.