Nel cuore della notte, in una tranquilla villetta di Paderno Dugnano, è avvenuto un crimine che sfida la comprensione umana: Riccardo C., un ragazzo di appena diciassette anni, ha sterminato la sua famiglia. Il padre, la madre e il fratello minore sono stati uccisi uno dopo l'altro, in un'escalation di violenza che sembra priva di ragione, un massacro che ha sconvolto una comunità intera e sollevato inquietanti domande sulla fragilità psicologica degli adolescenti e sulle dinamiche invisibili che possono condurre a simili atti estremi. Per cercare di comprendere cosa possa essere scattato nella mente di Riccardo, dobbiamo analizzare attentamente le informazioni disponibili. Fino a pochi giorni prima della tragedia, Riccardo sembrava condurre una vita ordinaria: uno studente del liceo scientifico senza precedenti segnali di disturbi psichiatrici gravi, senza un passato di violenza o comportamenti devianti. Nessuna segnalazione ai servizi sociali, nessun indicatore evidente nei suoi rapporti con amici o familiari. Persino il preside del suo liceo, in uno stato di incredulità, ha sottolineato come avesse persino una fidanzata, quasi a voler suggerire che una tale normalità dovrebbe essere incompatibile con l'orrore compiuto. Tuttavia, la storia di Riccardo ci mostra un lato oscuro spesso celato: una malvagità che si nasconde dietro l'apparente normalità, una sofferenza silente che può passare inosservata. Dietro il volto di un ragazzo normale si trincerava un sanguinario tumulto interiore: un vuoto esistenziale, un senso di estraneità, un’oppressione che non sapeva né esprimere né affrontare. Le sue azioni e le sue confessioni post-crimine rivelano una realtà drammatica: il disagio interiore che molti adolescenti vivono, quel senso di non appartenenza, di sentirsi alieni anche rispetto alle persone più vicine.
Riccardo non ha parlato di bullismo, di abuso di sostanze, né di conflitti familiari espliciti. La motivazione dietro il suo gesto rimane indefinita, fluttuante, come se il suo malessere fosse una nube silenziosa e invisibile che cresceva senza essere notata. L'adolescenza è un periodo di vulnerabilità estrema, in cui la ricerca di un'identità e il bisogno di autonomia si scontrano con la paura del futuro incerto e delle aspettative sociali. Questo è il periodo in cui le pressioni esterne e i conflitti interni possono generare sentimenti di isolamento, inadeguatezza e disperazione. Quando questi sentimenti non trovano vie di espressione o supporto adeguato, possono degenerare in forme di disagio profondo che, in casi estremi, si traducono in atti distruttivi. Nel caso di Riccardo, il suo racconto è scarno e privo di una motivazione chiara. Non c’è traccia di un conflitto evidente, di una vendetta, o di un impulso violento immediato. Questo rende l’interpretazione ancora più complessa. La sua confessione offre una finestra su un vuoto emotivo che sfugge alle normali categorie di comprensione: “Mi sentivo un corpo estraneo in famiglia, con gli amici. Ero oppresso, mi sentivo solo in mezzo agli altri”. È un disagio privo di forma precisa, che non si manifesta in rabbia o ribellione visibile, ma che esplode in un atto di violenza estrema. Come criminologa, è fondamentale considerare che dietro a un atto così efferato ci possono essere molteplici fattori che interagiscono tra loro.
Non esiste una risposta univoca. Le possibilità includono disturbi latenti della personalità, una depressione mascherata da normale apatia adolescenziale, un distacco emotivo che può evolvere in anedonia. Vale a dire l’incapacità di provare piacere o connessione. Potrebbe esserci stato un senso di disconnessione dalla realtà, in cui Riccardo ha perso la capacità di empatizzare, di vedere la sua famiglia come individui reali piuttosto che come simboli di una vita da cui si sentiva escluso o intrappolato. Questi fattori, uniti alla pressione interna ed esterna di trovare un posto nel mondo, possono aver alimentato un ciclo di pensieri disfunzionali e distorti. In assenza di un sostegno psicologico adeguato, questi tormenti psichici possono radicalizzarsi, portando alla convinzione che l'unica via d'uscita sia un gesto estremo. L'assenza di segnalazioni o di comportamenti devianti precedenti non deve farci dimenticare che la sofferenza psicologica può essere abilmente mascherata, soprattutto in un contesto in cui le emozioni vengono minimizzate o ignorate. La tragedia di Riccardo è un doloroso promemoria dell'importanza di saper riconoscere e intervenire sui segnali di disagio, anche quando questi sono sottili o apparentemente inesistenti. La prevenzione passa attraverso l’ascolto attento, il sostegno emotivo e l’accesso a risorse adeguate a tutti, specialmente per gli adolescenti che navigano il tumultuoso mare dell’identità e dell’autonomia. Generazioni di sconvolti senza più santi né eroi cantava qualcuno più di quarant’anni fa.