Ti svegli ripassando il programma della domenica che ti sei fatto nella testa: scrivo fino alle due, mi alleno, porto mio figlio di qua, mia figlia di là, stasera c'è l'Inter. Prendi il cel e leggi qualcosa che lì per lì non capisci. Rileggi. E capisci. Capisci che puoi pianificare quello che vuoi, puoi cercare di tenere tutto sotto controllo, ma che invece la vita poi ti arriva negli scarti, e ciò che avevi programmato non conta più niente. Luca se ne è andato. E lo veniamo a sapere con il sole fuori, una domenica di settembre. Che mese di mer*a, settembre. Finisce l'estate, torna il vento freddo, devi rientrare nei ritmi, e piano piano ti dimentichi l'odore del mare, la bellezza dell'ozio, e le cose che avevi lasciato in sospeso a luglio ti appesantiscono, è come andare in giro con i pesi alle caviglie. Fanc*lo. Fanc*lo settembre. Ora una volta di più.
Io e Luca. Ci metto un po' a elaborare. L'ho conosciuto nel 2018. Mi aveva colpito questo ragazzo che sapeva andare forte in moto e che sapeva pure comunicare. Ora è semplice vedere i piloti fare i vlogger, Luca fu visto come un alieno. Aveva ragione lui. La prima intervista gliel'ho fatta a casa sua. Ho conosciuto un ragazzo giusto, educato, cazzaro ma serio. Puro. E soprattutto, Luca, era uno che parlava dritto, come piace a me. Che non aveva paura delle sue opinioni anche se quasi sempre controcorrente. Per questo andavamo d'accordo. Per questo quando abbiamo cominciato a pensare a MOW, un sito che doveva parlare come parliamo noi, ho pensato di coinvolgerlo. Lui ha detto subito sì. E sta roba, credetemi, oggi che MOW ha 4 anni, che tanti più o meno sanno cos'è, che macina milioni di pagine viste al mese, per me è impagabile. Io a Luca adesso vorrei dire una sola parola: grazie. Non potrò. Me ne farò una ragione. Ma è una mer*a.
È una mer*a quando si muore, sempre. Parlavamo anche dei rischi che correva, io e Luca. No, non quanto parlavamo di f*ga. O di moto. Ma ogni tanto sì, perché i piloti ci convivono con quel rischio. Spesso Luca raccontava i pericoli che si prendeva usando una espressione nota: "Ho pescato un jolly". Di jolly i piloti ne pescano continuamente. Ma li peschiamo tutti, ogni giorno, anche quando non ce ne accorgiamo. E devi decidere sempre tra fermarti o vivere di più. Luca ha sempre scelto di vivere di più. Ha vissuto tantissimo. Consolazione irrisoria, ma un privilegio. Suo padre e sua madre lo hanno ribadito: "Ci ha lasciati inseguendo la sua passione".
Eccolo, l'insegnamento di Luca, per chiunque. L'ho intervistato svariate altre volte e prima e dopo di ogni intervista parlavamo di noi: Luca non aveva tabù, i suoi attacchi di panico, le sue sofferenze d'amore, le sue insoddisfazioni e inquietudini. Ne era pieno. Eppure viveva come un dannato. Le curava così: dando ancora più gas. Ogni nostro incontro finiva con un abbraccio.
Luca seguiva anche molto le notizie di attualità. Spesso mi scriveva per commentare i miei editoriali video, soprattutto quelli contro il politicamente corretto e la superficialità degli influencer, due cose che lo facevano imbestialire. Anche per questo era perfetto per collaborare con MOW, gli dicevo che se si fosse messo a scrivere sarebbe diventato il Jeremy Clarkson italiano. "Eh la madonna" rideva. Sarebbe successo davvero.
Invece un sabato di settembre, in Germania, il jolly non l'ha pescato. Capita, va messo in conto quando vivi di più. Le ultime interviste gliel'ha fatte Cosimo Curatola. Ho voluto che si conoscessero perché sapevo che erano la stessa cosa: pazzi lanciati a petto nudo verso ciò che amano, pronti a esplodere, esplodere e brillare. L'unica gente possibile, per Jack Kerouac e pure per me. Cosimo mi dice che Luca voleva fare il TT dell'Isola di Man, la gara più iconica e pericolosa che c'è al mondo. Si stava allenando per arrivare lì. Le gare su strada, come quella in cui è morto, sono le più pure. L'essenza, per chi ama correre in moto. E Luca, nella sua maniera, cercava la verità. Come fai a dire basta se per vivere non conosci altro modo che vivere di più, come fai a smettere di rischiare se il rischio è il motivo della tua vita, come fai? Questa estate, parlando in un bar dei miei tormenti, un vecchio dell'Elba mi ha detto: "Sai come diciamo qui? Può il mare stare senza sbattere?". No, non può. Il mare di Luca era correre.
Adesso che piango sotto la doccia mi accorgo ancora una volta che il mondo non può essere meglio di com'è. Possiamo esserlo noi. E Luca, con la scelta di rischiare ogni volta che poteva, è stato la migliore versione di sé stesso. Nella nostra chat su Instagram mi mette molta pace l'ultimo messaggio che ci siamo scambiati. Primo aprile 2024. Avevo commentato una sua storia, dopo uno dei tanti incidenti in cui era rimasto coinvolto. Gli avevo scritto: "Porca tr*ia. Un abbraccio, fratello". Lui aveva lasciato una reazione, un cuoricino. È un bel modo per salutarsi, Luca. Che Dio, se un Dio c'è, ti tenga lieve sul palmo della sua mano e che ti benedica, fino al momento in cui non ci incontreremo di nuovo. Chissà dove, chissà quando, in un'altra vita, chissà se succederà. Porca tr*ia. Un abbraccio, fratello.