Gli Stati Uniti, delle volte, somigliano veramente al Truman Show, o a un’estensione multimiliardaria dello stesso programma distopico. Così una cantante, studiata a Harvard e che fa tremare la terra, che arriverà a Milano portando con sé 130 milioni di entrate per la città, i cui biglietti per i concerti possono arrivare a costare anche 13 mila euro, può diventare la pr dei Democratici americani. Sì, sembra che tra i donatori dei Dem stia circolando il nome di Taylor Swift che, insieme a Michelle Obama e a Oprah Winfrey potrebbero selezionare il nuovo candidato Dem, ammesso che Biden non riesca a restare in gara, come pare aver garantito senza alcuna ambiguità. La proposta è di una docente della Georgetown, Rosa Brooks, che ha inviato il piano agli amici della domenica della sinistra americana, che stanno prendendo sul serio la possibilità di servirsi di Swift in veste di consulente. Se vi state chiedendo quali siano le sue qualità politiche, è presto detto: è Berlusconi. Ma non l’ultimo Berlusconi, con un po’ di esperienza e tanta stanchezza ideologica, né Berlusconi il grande, quello delle leggi, dei processi, degli inciuci, delle amicizie poco raccomandabili (quella con Putin, per esempio), e così via; no, il Berlusconi degli anni Novanta, quello che traghettò la destra verso una nuova era servendosi sostanzialmente del consenso costruito nel tempo fuori dalla politica. Taylor Swift è questo Berlusconi qui, quello che dice dove mirare, punta i suoi miliardi e i suoi milioni di fan e spara. E tendenzialmente ci prende. Così la politica americana, che già somiglia a un gioco per nerd con un abaco, anche se quei nerd volete chiamarli Machiavelli, si trova con una cantante, una conduttrice e una ex first lady che potrebbero scegliere ciò che è meglio – o, a questo punto, “meno peggio” – per i liberal U.S.
Lo zio Sam veste di strass e riempie gli stadi, perché la politica è diventata questo. Non potendo valutare gli individui per quello che sono, unici, né per quello che potrebbero valere come società civile, preferisce trattarli come un unico insieme vago e amorfo di strepitanti adepti, possibilmente sedotti fuori dal recinto della res publica, ovvero in quegli ambiti che con la politica non c’entrano, direttamente, nulla. Come la musica. Usare Taylor Swift significa lasciarsi usare, accettare il sorriso dell’influencer Swift, che è lo stesso sorriso dell’influencer Berlusconi, per portare una generazione o due di aventi diritto al voto, sapendo con certezza da che parte voteranno. Non sorprende che siano circolate immagini fake di Taylor Swift con una bandiera pro-Trump. Tutti, in America, sanno che dove il dito della star indica, lì le groupie andranno. Questo, tuttavia, è un fenomeno pericoloso. Perché tradurre un consenso extrapolitico in consenso politico significa sostanzialmente ingannare, manipolare e corrompere gli elettori. Significa spostare il potere dai palazzi e dalle istituzioni a privati nascosti tra le fila di donatori e simpatizzanti più di quanto già non si faccia. Significa smettere di votare chi ci rappresenterà, preferendo votare chi rappresenterà Taylor Swift. Una sorta di pedina, di prestanome per la presidenza Usa.