Il ministro “dell’Istruzione e del Merito” del governo Meloni, intervenendo all’assemblea dell’Anci, ha attirato l’attenzione sulla sua proposta di escludere dal reddito di cittadinanza chi non ha terminato o meglio interrotto illegalmente gli studi. L’idea è così negativamente esplosiva che ha attirato tutta l’attenzione su di sé e fatto sì che i drammatici e gravissimi dati che subito dopo il ministro ha citato a supporto della sua proposta non abbiano ricevuto la dovuta attenzione. Dati sconvolgenti non compresi nella loro drammaticità, non tanto dalla stampa, ma dalle istituzioni. Il ministro ha detto che i giovani tra i 18 e i 29 anni che percepiscono il reddito di cittadinanza sono 364.101. Di questi, 11.290 sono in possesso solo di licenza elementare o addirittura nessuna istruzione. Altri 128.710 hanno solo la licenza media, mentre i restanti 200 mila potrebbero essere collocati all’interno dei cosiddetti Neet (not in education, employment or training, ovvero giovani tra i 15 e 29 anni che non sono occupati o inseriti in percorsi di formazione). Ma in realtà la fascia dei neet è complessivamente valutata in 2 milioni di persone. Dati drammatici e sconvolgenti che meriterebbero una reazione immediata da parte del governo ma oserei dire dello Stato intero. Una situazione, a mio avviso, così grave da ricordare, con le dovute differenze, quella del Dopoguerra e che trovò un inizio di soluzione nel 1947 con la nascita delle “scuole Popolari”.
Mi permetto di dire che l’idea del Ministro, sicuramente accompagnata da buoni motivi, di negare la possibilità di accedere al reddito per tutti quelli che non hanno terminato il ciclo scolastico, rischia di avere un effetto contrario se non addirittura di aggravare lo stato psicologico di questi giovani. Chi ha avuto occasione, e da Roma in giù capita spesso anzi spessissimo, di interloquire con questi giovani può facilmente comprendere che il problema ormai è gravissimo, anzi drammatico. Una situazione che solo con un progetto che vede coinvolti pedagogisti, psicologi, insegnanti, educatori e tanti altri può forse trovare una soluzione. Spesso questi ragazzi non solo non riescono ad applicarsi sui libri di scuola ma non riescono ad applicarsi in nulla. Voglio citare a tal proposito un’esperienza vissuta in Sicilia.
Come molti sanno i giovani sin da piccoli vivono con il mito della velocità, della meccanica, delle motociclette, delle macchine, della trasformazione di semplici motorini in moto da corsa.Per generazioni tutti i giovani hanno sognato il primo motorino, la prima moto, la prima auto. Oggi basta fare un giro per Palermo, per i quartieri più popolari o meglio più poveri per imbattersi in questi giovani che non hanno più com’era ai miei tempi motociclette elaboratissime, rumorosissime, potentissime e scattanti, quelle delle famose impennate, ma dei semplici motorini elettrici con ai lati due pedali.
Comodi, belli, ma nulla che vedere con un motorino, una motocicletta, una macchina, in pratica si tratta di una bici elettrica che ha la forma di un motorino. Avvicinandosi a questi ragazzi e chiedendogli come mai utilizzino il motorino elettrico la risposta è tanto inaspettata quanto sconvolgente: perché non ci vuole la patente. Ecco i nostri giovani sono in una situazione tale che rinunciano al loro sogno cioè quello di avere una propria moto o auto perché non riescono a studiare le norme e superare gli esami per la patente. E basta entrare in confidenza con loro per capire quanto soffrono di questa privazione. Ti dicono o meglio ti confessano che non è pigrizia o cattiva volontà, è che proprio non ci riescono. È un problema più grande di loro.
I numeri che ha citato il ministro sono gravi ma la situazione psicologica di questi giovani è ancora peggiore, se possibile, e non può essere risolta con la negazione del reddito. Oggi, come nel 1947, Governo e Parlamento debbono chiedere aiuto a pedagogisti, psicologi, insegnanti, educatori e cercare di riportare questi giovani all’interno della loro/nostra società.
Obiettivo primario: farli diventare cittadini appassionati, compartecipi della nostra società e soprattutto farli credere in sé stessi. Sarà un’impresa difficilissima, molto più difficile di quella del Dopoguerra, perché non dobbiamo dimenticare che allora il modello era ricostruire l’Italia e tentare la scalata sociale, oggi i nostri giovani se hanno un modello è un rapper o un influencer che ha abbandonato la scuola ed è divenuto ricco e famoso. Un grande problema o meglio una vera emergenza che le istituzioni devono affrontare. Don Milani diceva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.