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Manca solo Totò Riina sulle t-shirt? Perché Palermo non vieta i souvenir mafiosi? Il reportage tra minacce, insulti e turisti innamorati dei boss “uomini d’onore”. Intanto ad Agrigento…

  • di Emanuele Fragasso Emanuele Fragasso

28 agosto 2024

Manca solo Totò Riina sulle t-shirt? Perché Palermo non vieta i souvenir mafiosi? Il reportage tra minacce, insulti e turisti innamorati dei boss “uomini d’onore”. Intanto ad Agrigento…
Agrigento vieterà la vendita di souvenir mafiosi, ma il capoluogo siciliano, Palermo non fa niente. Intanto per le strade del centro i turisti comprano magliette e calamite con Totò Riina e il padrino, mentre il sindaco non dice nulla. Siamo stati in una delle città simbolo della regione, tra negozianti che non rispondono alle domande o minacciano e turisti appassionati di “Gomorra” e serie sulla criminalità organizzata: “Stimiamo gli uomini d’onore”. Vi raccontiamo tutto qui

di Emanuele Fragasso Emanuele Fragasso

Il sindaco di Agrigento Francesco Miccichè ha vietato la vendita di gadget che rimandano all’immagine della “Sicilia mafiosa”. Un’iniziativa virtuosa quanto unica nell’isola, che ha scatenato parecchio rumore anche oltre i confini della Trinacria. Purtroppo la stessa cosa non è ancora successa a Palermo e negli altri capoluoghi di provincia. Nella città arabo-normanna infatti – girando per i mercatini e per i negozi di souvenir del centro storico – si possono vedere decine di gadget a tema mafia. Partendo dai suggestivi Quattro Canti di Palermo e muovendosi nelle altrettante direzioni consentite, la stragrande maggioranza dei negozi vende oggetti che rimandano alla cultura mafiosa: spicca in particolare la figura del “Padrino” Don Vito Corleone, interpretato da Marlon Brando nell’omonimo film. Tentare di scambiare due parole sull’argomento con i commercianti locali equivale a un suicidio. Alcuni ci hanno mandato via intimando di chiamare la polizia municipale, altri di tirarci un pugno e fracassarci il telefono “nelle corna” (in testa, in dialetto siciliano ndr), se solo avessimo provato a fotografare la loro merce o a riprenderli con il telefonino. Nonostante l’iniziale e diffusa resistenza di tanti commercianti, dopo diversi tentativi riusciamo a parlare con un negoziante, questa volta però senza identificarci come giornalisti. Con noi parla il giovane Ajit, un indiano trasferitosi in Sicilia anni fa e che con molta fatica è riuscito ad aprire un piccolo negozio di souvenir nel cuore di Palermo, in via Maqueda. Ha il viso stanco, come chi – nonostante la giovane età – si è dovuto rimboccare le maniche e lavorare una vita intera per guadagnare qualche briciola. Addosso la tradizionale tunica indiana, un turbante e dei malridotti sandali in cuoio scuro. Quando lo conosciamo è seduto su un piccolo sgabello mentre tenta di tagliarsi le unghie delle mani con i denti.

Perché vendi questi gadget che rimandano alla iconografia mafiosa, lesiva per la Sicilia?

I turisti pensano che la Sicilia sia la stessa degli anni Settanta o Ottanta, pensano che ci sia ancora la mafia per com’era intesa quando c’erano Falcone e Borsellino a combatterla.

Se iniziaste a buttare questa immondizia di souvenir, forse la gente non lo penserebbe più.

No, non è così. La gente è malata per queste cose. Vedono film e fiction come Gomorra o Il Capo dei Capi, che sono disponibili anche all’estero e credono che sia figo, ma non lo è. Qua tutti, o quasi, sappiamo che la mafia è una merda, ma comunque vendiamo gadget che rimandano alla mafia, al padrino e a Cosa nostra perché alla gente piace e ci facciamo un sacco di soldi.

Che insegnamento date alle future generazioni di siciliani?

Che facciano quello che vogliano. La mafia c’è e ci sarà per sempre, anche se noi smettessimo di vendere la nostra merce. Negli scorsi mesi qualche politico aveva tentato di farci sequestrare tutti i souvenir del padrino ma non c’è riuscito.

Alcuni dei souvenir in giro per Palermo
Alcuni dei souvenir in giro per Palermo
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Usciamo dal piccolo negozio con l’amaro in bocca, accompagnati da Ajit che scherzosamente ci chiede se volessimo acquistare una maglietta del padrino al modico costo di venti euro, o magari – se non disponessimo di tale budget – una piccola calamita dove campeggia una coppia di mafiosi “U mafiusu e a mafiusa” (Il mafioso e la mafiosa ndr). Il nostro itinerario nella Palermo che lucra sulla mafia non finisce qua. Dopo non molto, arrivati nei pressi della meravigliosa cattedrale vediamo due signore – dall’accento forse dell’est Europa – provarsi un grembiule da cucina con il faccione di Marlon Brando stampato e l’iconica parola “Padrino”. Quando le chiediamo perché si stiano comprando proprio quel grembiule, nonostante gli oltre venti disponibili, con fantasie meravigliose che ricordano i colori siciliani, la loro risposta ci lascia senza parole. “Stimiamo gente del genere, uomini d’onore e che amano la famiglia. Dalle nostre parti chi si comporta così e mette in primo piano la famiglia deve meritarsi il nostro rispetto”.

Il messaggio è cristallino: finché questi oggetti verranno esposti e venduti come se nulla fosse, difficilmente potrà cambiare la mentalità di queste persone. Fortunatamente, non tutti i turisti sono così. Qualcuno passa davanti le calamite a tema mafia e – anche litigando con i negozianti – chiede perché quegli oggetti siano esposti. Proprio durante uno di questi serrati confronti, riusciamo a intercettare Mark, turista svedese venuto qua in vacanza con la famiglia. Il suo lavoro? Giudice in Svezia. “Sono orripilanti questi oggetti – dice Mark al commerciante – se avessi più soldi, visto che non accettate bancomat, li comprerei tutti per dargli fuoco. Voi che vendete queste schifezze non avete idea di quanto il vostro popolo abbia sofferto per gente del genere. A che ci siete fate pure la maglietta con Totò Riina che sono sicuro qualcuno la comprerebbe anche. Mi meraviglio – conclude l’uomo – che il sindaco di Palermo [Roberto Lagalla, ndr] non abbia già firmato un’ordinanza da tempo”.

Il sindaco di Palermo Roberto Lagalla
Il sindaco di Palermo Roberto Lagalla
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