Nel teatro della finanza italiana, Giorgia Meloni si muove con la cautela di chi sa che ogni gesto pesa, soprattutto quando il palco è condiviso con protagonisti come Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, e Giuseppe Castagna, al timone di Banco Bpm. La recente offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Unicredit per Banco Bpm ha scatenato reazioni che intrecciano finanza, politica e strategie nazionali. Un dossier complesso, ricco di silenzi eloquenti e decisioni sospese, come ha riferito Roberto Sommella su Milano Finanza.
Meloni sarebbe rimasta "sorpresa" dall'offensiva di Orcel su Banco Bpm, una banca che il governo immagina come perno di un polo bancario nazionale, insieme a Monte dei Paschi di Siena e agli alleati strategici Delfin, Caltagirone e Anima. La premier, pur vantando buoni rapporti con Orcel, avrebbe mostrato una ferma indipendenza: "Nessun favore a Orcel, come nessun favore a Caltagirone", sottolinea Mf. E la diplomazia di Palazzo Chigi si è mossa su due binari: una richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato e il coinvolgimento della Consob, guidata da Paolo Savona, per monitorare ogni aspetto dell’Ops.
La questione è cruciale non solo per il futuro delle due banche, ma anche per il controllo del risparmio italiano. L’eventuale fusione con il socio francese Agricole preoccupa per possibili squilibri nel trattamento degli azionisti e per il rischio di un monopolio mascherato sul risparmio. Come ricorda Sommella, la Consob sta esaminando eventuali "accordi commerciali tra Orcel e i francesi", e il Testo Unico della Finanza garantisce il diritto degli azionisti al "pari trattamento".
Il cuore del problema è politico ed economico insieme. Meloni e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti immaginano un sistema bancario che rafforzi la sovranità economica dell’Italia. Orcel, con la sua visione globale e la reputazione di banchiere spregiudicato, rappresenta una sfida a questa visione. Eppure, il suo sentiero è disseminato di ostacoli: la resistenza di Meloni, l’attenzione della Consob, la prudenza della Banca d’Italia sotto il vigile occhio della Bce, e persino il principio di von Clausewitz citato da Giorgetti, che ammonisce sui rischi di una "guerra su due fronti". Il riferimento alla mancata scalata di Commerzbank non è casuale: i fallimenti passati possono pesare sulle scelte future.
In questa partita ad alta tensione, i ruoli si mescolano. Meloni, che ha dimostrato di essere tanto pragmatica quanto ideologica, si trova ora a bilanciare il desiderio di costruire un polo nazionale con le dinamiche di mercato e le relazioni europee. Orcel, maestro delle operazioni finanziarie, dovrà misurarsi con una resistenza più politica che tecnica. E Banco Bpm? Rischia di diventare il campo di battaglia in cui si scontrano visioni opposte sul futuro della finanza italiana.
La domanda rimane aperta: quale sarà il prossimo passo? Palazzo Chigi si piegherà alla logica del mercato o imporrà un freno, riaffermando la centralità dello Stato? Orcel riuscirà a far passare la sua operazione come una naturale evoluzione del mercato, o il suo tentativo sarà bollato come una "killer acquisition"? La risposta, come spesso accade, è nascosta nei dettagli delle trattative. E per ora, le trattative sono più che mai riservate.