C’è un nuovo e rilevante sviluppo nell’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm. Come è noto, i piani per l’acquisizione dell’ex Popolare da parte dell’amministratore delegato di Piazza Gae Aulenti, Andrea Orcel, si sono scontrati con l’esercizio del Golden Power da parte del governo con un dpcm firmato ormai un mese fa. Da allora, i tentativi di dialogo tra Unicredit e il ministero delle Finanze e dell’Economia sono stati timidi e poco produttivi, portando Orcel su posizioni di vigile attesa. Anche per questo l’amministratore delegato ha chiesto alla Consob di autorizzare la sospensione dell’ops per i prossimi 30 giorni. Lo ha fatto ai sensi dell’articolo 102 6.b del Testo Unico della Finanza (Tuf), e motivato dall’esercizio dei poteri speciali da parte di Palazzo Chigi che “impedirebbe agli azionisti una valutazione adeguata dell’offerta nei tempi previsti”. L’operazione di Unicredit può essere letta in due modi: per prima cosa, dà più tempo ai vertici di Piazza Gae Aulenti per discutere sugli stringenti vincoli imposti dal governo che riguardano, tra le altre cose, anche i numeri dell’opa di bpm su Anima e gli affari di Unicredit in Russia, che il governo vorrebbe sospesi entro gennaio 2026. Fino ad ora, però, del tempo a disposizione le parti se ne sono fatte ben poco, dal momento si conta un solo incontro ufficiale tra i vertici di Unicredit e il capo di Gabinetto Gaetano Caputi, dove peraltro si è parlato di “atteggiamento ostile”. L’altra chiave di lettura riguarda la dimensione pubblica dell’ops, che con la richiesta di intervento della Consob potrebbe divenire più palese. Orcel punta forse a esercitare una spinta sull’esecutivo affinché risponda dei chiarimenti richiesti, fondamentali per capire quale piega far prendere all’operazione. L’ad, infatti, non ha mai escluso la possibilità di abbandonare l’offerta ma solo dopo aver provato a percorrere tutte le vie possibili.

Sulla risposta della Consob – che ha 15 giorni per rispondere ma potrebbe sbrigarsi prima – non aleggia comunque grande ottimismo. “Le attese sono per una risposta negativa. – scrive il Giornale, che prosegue – Il Golden Power, fanno notare fonti finanziarie, non può essere considerato come un fatto nuovo, tale da congelare l’ops, visto che rientra tra le condizioni di efficacia (contenute nello stesso documento d’offerta) a cui Unicredit ha subordinato l’operazione su Piazza Meda. Inoltre, sottolineano le stesse fonti, l’offerta è ormai arrivata alla quarta settimana. La richiesta di Unicredit si fonda sull’articolo 102 comma 6b del Testo unico della finanza, che dà la possibilità di sospendere un’offerta in Borsa per un termine non superiore a trenta giorni, nel caso intervengano fatti nuovi o non resi noti in precedenza tali da non consentire ai destinatari di pervenire ad un fondato giudizio sull'offerta”. In effetti, dall’approvazione del Tuf nel 1998 c’è stato un solo caso di approvazione della richiesta di sospensione così come vorrebbe Unicredit, nel 2017.

Spostando la lente del risiko finanziario sul tentativo di acquisizione di Mediobanca da parte d Monte dei Paschi (Mps), arrivano rivelazioni di peso dal mondo della finanza internazionale. Risalgono all’assemblea degli azionisti che lo scorso 17 aprile ha votato favorevolmente all’aumento di capitale funzionale alla scalata. Nonostante l’amministratore delegato Luigi Lovaglio abbia incassato il sostegno necessario, una nutrita schiera di investitori internazionali si è staccata bocciando, con voto contrario, l’iniziativa. Tra questi c’è BlackRock. L’asset manager statunitense si è presentato in assemblea con poco più dello 0,3 per cento e ha votato contro la delibera sull’aumento. Allo stesso modo anche Dimensional (che ha anche lo 0,44 per cento di Piazzetta Cuccia, stando ai dati di Bloomberg), Ubs, Bnp Paribas, Hsbc, Goldman Sachs, Santander e Morgan Stanley. Jp Morgan si è astenuta. A sostenere l’operazione è stato invece il Mef, che detiene ancora l’11 per cento del banco senese e l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone, che ha il 9,9 per cento. “Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, non compare direttamente in assemblea ma è plausibile abbia dato la delega sul suo 9,87 per cento alla società di raccolta dei voti Computershare, che a Siena si è presentata con il 19 per cento. Tra i soci favorevoli all’offerta ci sono anche le fondazioni, entrate nel capitale della banca senese con l’aumento dell’ottobre 2022”, scrive Milano Finanza. L’ops ha dunque spaccato il fronte degli investitori internazionali, ma mantiene il sostegno necessario ad andare avanti. Ora, secondo MF, l’ostacolo maggiore resta il prezzo, perché le 2,3 azioni che Siena offrirebbe come contropartita per ogni azione di Mediobanca è scontato del 15 per cento alla chiusura di ieri in Borsa. “Per colmarlo – conclude MF – Mps deve mettere sul piatto altri 2,6 miliardi. Il divario si è accentuato soprattutto dopo l’offerta di Piazzetta Cuccia su Banca Generali per creare un polo italiano del risparmio”.