Orcel, Nagel e il governo di Giorgia Meloni. L’altra faccia del risiko bancario, quello che agli utili sostituisce il potere e alle percentuali azionarie l’influenza politica, si gioca per buona parte tra questi tre soggetti. Da una parte l’amministratore delegato di Unicredit, che sembra arrivato sul punto di mollare la presa sull’offerta pubblica di scambio lanciata Banco Bpm e che si chiuderà solo a metà giugno. A pesare, come è ormai noto, è l’ostruzione del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), e quindi del governo tutto, che è ricorso al Golden Power imponendo vincoli insostenbili. Su tutti il mantenimento dell’attuale rapporto tra impieghi e depositi per i prossimi cinque anni e la smobilitazione di tutto il business di Piazza Gae Aulenti in Russia – dove possiede ancora filiali – entro la fine dell’anno. “L’operazione su Banco Bpm non sarà fatta a tutti i costi” aveva detto inizialmente Orcel, che ha sperato fino all’ultimo di trovare un tavolo comune con Palazzo Chigi. Speranze che sembrano svanite anche dopo l’ultima porta in faccia del ministro Giorgetti, che non ha mai risposto alla richiesta di chiarimento sul Golden Power inviata di Orcel. L’unica soluzione per l’ad sembra essere il ricorso al Tar o addirittura alla giustizia dell’Unione europea, da cui aveva già ottenuto l’ok sulla legittimità dell’operazione. Ma da convincere sarebbe anche Piazza Meda, sede di Banco Bpm, che innanzitutto si aveva rigettato l’offerta economica proposta da Unicredit. L’incertezza venuta in seguito ha poi ampliato il divario, e così oggi la banca si esce allo scoperto con una campagna pubblicitaria che recita “Centosessant’anni per i nostri territori. Ecco perché all’ops di Unicredit diciamo No”. La motivazione politica, intuibile dietro a queste parole è che le mosse di Orcel e di Gae Aulenti – attivi anche sulla tedesca Commerzbank per creare un soggetto internazionale – non farebbero gli interessi della nazione. La stessa critica mossa dal governo, da Meloni a Salvini, con Tajani che ha dovuto frenare malumori iniziali dopo essersi confrontato proprio con la premier. Una posizione rimarcata anche da Marco Osnato, presidente della commissione Finanze ed esponente di Fratelli d’Italia: “Orcel? Non mi pare abbia interesse per molte questioni nazionale”, ha dichiarato al Foglio.

La sensazione che circola in queste ore è che il “potere dorato” di Chigi possa non essersi esaurito. E l’osservato speciale in tal senso è Alberto Nagel, ad di Mediobanca, ovvero l’altra banca che in questo momento sembra voler cambiare gli equilibri sullo scacchiere delle banche italiane. L’annuncio dell’ops su Banca Generali asset chiave del risparmio gestito controllato al 50,2 per cento proprio dal Leone di Trieste e le possibili ricadute di questa operazione sulla scalata di Monte dei Paschi (Mps) proprio a Piazzetta Cuccia restano gli osservati speciali. Specie oggi che Nagel è a Roma per parlarne con il capo di gabinetto della premier Giorgia Meloni, Gaetano Caputi. Alcuni giornali hanno lamentato un “gelo” simile a quello riservato a Orcel, che potrebbe agitare cattivi presagi. Su Nagel Osnato è stato più prudente nel commentare le buone reazioni di analisti e soggetti anche “concorrenti” – come nel caso di Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum – in merito all’ops di Banca Generali: “Non è un’operazione abile – che in linguaggio bancario significa precisa, fatta con competenza – tutto ciò che perpetua un sistema, come è avvenuto talvolta a Milano, con una generazione di finanzieri che ha ritenuto più di creare un hortus conclusus, chiuso, per pochi e non ha offerto un’opportunità di sviluppo per l’intero paese. Lo dimostra la scarsa capacità di aggregazione delle imprese, rimaste medie e piccole, con banche che si sono iper-patrimonializzate, ma spesso non hanno guardato al mondo delle imprese”.

Il viaggio di Nagel avviene nel giorno in cui il consiglio di amministrazione di Generali si riunirà per la prima volta dopo il rinnovo del board. Accanto ad alcune questioni relative all’organigramma del direttivo, il tema dei temi sarà proprio l’ops di Mediobanca che tocca Generali molto da vicino e la espone a rischi dal punto di vista delle authority di garanzia. La prima riguarda la forma di pagamento dell’affare, poiché l’eventuale acquisizione sarebbe pagata da Piazzetta Cuccia con i titoli del Leone in portafoglio. Il paradosso è evidente: Generali si troverebbe a cedere un asset strategico ricevendo in cambio pezzi di sè stessa, per altro sottoposti a vincolo. L’altro punto riguarda i rischi di conflitto di interesse, dal momento che a dover valutare l’operazione è un cda composto per dieci membri su tredici, da persone elette nella lista presentata dalla stessa Mediobanca. Compreso l’ad Philippe Donnet e il presidente Sironi. Sulla legittimità di nomine e decisioni vigilierà, il comitato per le parti correlate probabilmente guidato da Fabrizio Palermo, consigliere espresso dalla lista di minoranza di Francesco Gaetano Caltagirone. “State cercando di spostare il potere finanziario da Milano a Roma intendete favorire la scalata di Caltagirone e Milleri a Generali?”, incalza Carmelo Caruso dialogando con Osnato sul Foglio. L’ipotesi di una mano “statalista” del governo Meloni in merito al risiko bancario è stata sollevata più volte, in effetti. Ad essere in ballo potrebbe essere l’equilibrio di pesi politici nel settore bancario tra Milano e Roma, dove vive proprio Calatagirone. E non è detto che i prossimi sviluppi possano dare ulteriore spago a questa interpretazione.