Nell’intrico affascinante del capitalismo italiano, dove le banche non sono solo istituzioni finanziarie ma nodi cruciali della rete economica, politica e geopolitica nazionale, si gioca in questi giorni una partita d’altissimo profilo. Sul tavolo: l’Ops (offerta pubblica di scambio) di Unicredit su Banco BPM, il blitz di MPS su Mediobanca, e il crescente interesse transalpino di Crédit Agricole. Ma soprattutto, il ruolo della politica e dello Stato, sotto forma del cosiddetto Golden Power.
Partiamo da qui. Il Golden Power è un insieme di poteri speciali che lo Stato può esercitare per proteggere gli asset strategici nazionali da acquisizioni ritenute “scomode” o pericolose, specie da soggetti esteri o in operazioni che potrebbero compromettere sicurezza e interessi fondamentali. Tradotto: il governo può dire “no” o porre condizioni vincolanti a una fusione o scalata che ritiene non in linea con gli interessi del Paese. In questo momento, il comitato Golden Power è chiamato a decidere sull’offerta pubblica di scambio avanzata da Unicredit per assorbire Banco BPM.
Secondo quanto riportato da Milano Finanza, “la data già segnata su alcune agende a Roma e a Milano è quella di martedì 22 aprile”. Tre gli scenari possibili: il “No Golden Power” (nessun intervento del governo), l’esercizio dei poteri con prescrizioni (sulle sedi, sull’occupazione, sulla governance), oppure – ipotesi remota – il veto totale all’operazione. Una decisione che, oltre a sbloccare il piano Unicredit, permetterebbe a Andrea Orcel di sedersi senza pressioni all’assemblea di Generali del 24 aprile, altro snodo caldo della finanza italiana.

Nel frattempo, Banco BPM del ceo GIuseppe Castagna è al centro di un altro fronte: il possibile sostegno all’offerta di MPS su Mediobanca, uno dei principali gruppi bancari e assicurativi del Paese. Il consiglio d’amministrazione di Piazza Meda, come riporta ancora Milano Finanza, si riunisce oggi per decidere la linea da tenere all’assemblea del 17 aprile di Monte dei Paschi, dove si voterà sull’aumento di capitale propedeutico all’offerta.
Secondo indiscrezioni raccolte dal quotidiano economico, la direzione è chiara: “il board verso il sì”. Una mossa non solo figlia dei buoni rapporti con l’esecutivo, ma anche della recente convergenza di interessi con Caltagirone, storico nome della finanza italiana, che ha portato la sua partecipazione in Anima SGR – altro nodo chiave – oltre il 90%.
Il tutto si intreccia con l’ascesa inarrestabile di Crédit Agricole, il colosso francese che ha ormai il 19,8% di Banco BPM, dopo aver ottenuto l’autorizzazione della BCE a superare la soglia del 10%. Un segnale forte: Parigi è in campo, e gioca per vincere.
Nel frattempo, il governo italiano ha già dato il via libera all’Ops di Mps su Mediobanca: “La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha deliberato […] il non esercizio dei poteri speciali con riferimento all’offerta pubblica di scambio di Mps sulla totalità delle azioni ordinarie di Mediobanca”. In altre parole: l’esecutivo benedice l’operazione, ne condivide la logica industriale e strategica e punta a un gruppo bancario forte, privatizzato ma sotto regia italiana. Una manovra che ha anche un sapore difensivo: impedire che il controllo su Mediobanca finisca in mani straniere, in particolare quelle francesi, dato il crescente asse Generali–Natixis.

Infine, in parallelo, Unicredit guarda alla Germania. L’Antitrust tedesco ha autorizzato la banca guidata da Orcel a salire fino al 29,99% in Commerzbank, seconda banca tedesca, dopo il via libera della BCE. Il che apre la strada a una conversione dei derivati in azioni e a un ulteriore consolidamento del presidio tedesco da parte dell’istituto italiano.
Un risiko che, per quanto complesso, racconta in fondo una sola storia: quella di un’Italia che cerca di tornare padrona del proprio destino economico, con una finanza che torna leva strategica e una politica che, nel bene o nel male, non resta più spettatrice.
Nel mezzo, manager di razza (come Orcel, Lovaglio e Castagna), imprenditori influenti (come Caltagirone), fondi stranieri e casse previdenziali italiane. Un puzzle il cui esito, oggi, non è solo una questione di spread o dividendi, ma di sovranità industriale, controllo delle leve economiche e direzione strategica del Paese.
In altri termini, non è solo finanza. È geopolitica. E si gioca in euro, sì — ma anche in potere.