L’11 aprile sono state arrestate sette persone per l’omicidio di Vittorio Boiocchi. Alcune di loro erano già in carcere. L’ipotesi della Procura è che Andrea Beretta fosse il mandante, Marco e Gianfranco Ferdico gli organizzatori, Mauro Nepi e Cristian Ferrario i complici e Andrea Simoncini e Daniel “Bellebuono” D’Alessandro gli esecutori materiali. Una svolta nel caso che riguarda i vertici della Nord. L’omicidio dello Zio, al tempo, aveva cambiato gli equilibri in curva. Dopo aver ammazzato Boiocchi prendono potere Beretta e Ferdico e viene integrato Antonio Bellocco. I vari gruppi si riuniscono sotto un unico striscione “Curva Nord”. Una mossa giusta da parte di Beretta in termini economici. Dopo una notizia del genere ci si poteva aspettare una presa di posizione o un comunicato del Secondo Anello Verde. Il 12 aprile, il giorno successivo all’emissione dell’ordinanza, si giocava Inter-Cagliari a San Siro. Dalla curva, però, nessun segno, nessuna coreografia, nemmeno uno striscione. Quando Andrea Beretta decise di diventare un collaboratore di giustizia era stato mandato un messaggio chiaro: “La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità”. Stavolta, invece, il silenzio. Almeno per il momento. Al di là dei fatti giudiziari, il tifo organizzato deve andare avanti. Gli ultras nerazzurri stanno protestando per il caro biglietti. Effettivamente i costi sono difficili da sostenere, e quindi non bisogna sorprendersi della contestazione. Venti minuti di silenzio ogni partita in casa: così ha deciso di protestare la Nord. Tra i nomi citati nelle carte c'è il leader del gruppo Brianza Alcolica: si tratta di Andrea Melilli. Ma chi è?


Melilli viene citato nelle carte dell’omicidio Boiocchi, seppur non sia indagato in nessun modo. È Antonio Di Leo, detto “Tony Brianza”, a parlare di lui: “Premetto di essere un esponente della tifoseria organizzata di Curva Nord e appartengo al gruppo denominato ‘Brianza Alcolica’, in questo momento guidata da Melilli Andrea detto ‘Rava’”. Tony Brianza è l’uomo incaricato da Ivan Luraschi, uno dei membri del vecchio direttivo, di svuotare il magazzino intestato a Beretta e contenente l’arsenale di cui avevamo parlato in questo articolo. “Mentre ero intento a svuotare il magazzino, all'interno del quale vi erano circa 200 scatole di abbigliamento del merchandising di curva Nord, ho ricevuto una telefonata, di cui non ricordo se su applicazione WhatsApp o telefonica, da Ferrario Cristian, dipendente di Beretta, che in quel momento era agli arresti domiciliari, il quale mi ha riferito che tra il materiale da prelevare vi era un ‘pacco che scottava’, indicandomi, con esattezza, come fare a individuarlo”. Di Leo prende il pacco e se lo porta in casa, in attesa di sapere come muoversi. Dopo qualche giorno richiama Ferrario per chiedere indicazioni: “Anche lui, a sua volta, attendeva indicazioni, e non so da chi poiché erano tutti detenuti”. Ferrario viene arrestato nella notte tra il 22 e il 23 novembre 2024. A quel punto Di Leo avverte il nuovo direttivo e Melilli di essere in possesso di un pacco “che scottava”. Il capo ultrà risponde: “Sei un coglio*e, adesso ti dico cosa devi fare, mi informo con gli altri”. Il giovedì successivo va al Baretto di San Siro per la riunione della curva. Lì viene a sapere di essere stato tagliato fuori: “Sono stato avvicinato da Mellini Andrea il quale mi ha comunicato che, da quel momento, ero sospeso da curva Nord, non avrei potuto far parte della chat dei diffidati, non avrei potuto frequentare il Baretto, venivo sollevato dagli incarichi in maniera temporanea finché non mi sarei liberato del pacco”. In realtà le parole di Melilli furono queste, dice Di Leo: “Ti volevano fare un culo perché ti sei preso una responsabilità che non ti toccava e soprattutto perché non ci hai informato... vai a casa e sistema la situazione”. Cosa conteneva quel pacco?

Il primo dicembre 2024 la polizia trova in casa di Di Leo una pistola Smith & Wesson modello 357 magnum con sei proiettili caricati nel tamburo. L'arma, si legge nelle carte, era in una scatola che conteneva materiale elettorale di un politico. Beretta in una sua confessione aveva detto che gli ultras "facevano robe" per lui. Il nome del politico è contenuto nelle carte, poi ci sono degli omissis. Questo non significa, lo specifichiamo, che ci siano dei reati di mezzo. Viene da chiedersi: come mai quell’arma era così importante? Volevano davvero nascondere l’oggetto più “scottante” oppure il nuovo direttivo voleva evitare di finire nei guai per le azione dei vecchi capi? Forse era un modo per prendere le distanze dal passato? Per il momento non lo sappiamo. Ancora Di Leo, comunque, chiarisce che la decisione sulla sua estromissione non fu presa solamente da Melilli, ma da tutto il direttivo: “Preferisco non fare i nomi perché ritengo che voi già sappiate tutto. Per quanto mi riguarda affermo che tale estromissione è stato un voltafaccia da parte della curva, invece di darmi una mano per aiutarmi, contravvenendo quindi ai valori della curva ovvero aiutare gli appartenenti”. Insomma, un presunto tradimento. I nuovi capi preferivano tenersi alla larga da questioni del passato, probabilmente, e quell'arma poteva forse costituire un pericolo per la loro reputazione. Chiaramente queste sono solo ipotesi. Nel frattempo, ci sono delle prove di un altro tradimento, che dovranno essere dimostrate a processo: quello di Andrea Beretta e Marco Ferdico nei confronti di Vittorio Boiocchi. Dei valori ultras in quella storia c’è ben poco: quelli erano già stati lasciati da parte.
