Che nell’inchiesta Doppia Curva prima o poi si sarebbe parlato di armi e droga era pronosticabile. I metodi degli ultrà e i soldi necessari al sostentamento dell’economia di curva non potevano prescindere da entrambe le cose. Andrea Beretta si è pentito, e subito la polizia ha scoperto un deposito in cui erano nascosti kalashnikov, bombe a mano e pistole. Il proprietario sarebbe Cristian Ferrario, uno degli uomini di Berro che vive lì vicino (il capannone è a circa 30 chilometri da San Siro). Un arsenale fin troppo fornito, però, per essere quello utilizzato dalla Nord e dai suoi membri. Cosa ci avrebbero fatto gli ultrà con tutta quella roba? Difficile, ma non del tutto da escludere, sia chiaro, pensare che quelle armi fossero davvero lì in attesa di essere usate dai tifosi. In effetti, nel corso dell’indagine sono emerse intercettazioni tra Beretta e Ivan Luraschi, l’uomo delle coreografie, in cui i due discutono della possibilità di mettere in piedi una legione, una frangia armata di fedelissimi da far scontrare fuori dagli stadi (davvero si sarebbero limitati agli scontri della domenica?). Resta comunque poco probabile. Anzi, non è detto che gli altri uomini della curva sapessero dell’esistenza dell’arsenale. Quel deposito di armi, quindi, a chi serviva? Le pistole, le bombe a mano e i fucili erano lì per conto di qualcun altro? Sappiamo per certo che la ‘ndrangheta si stava prendendo la curva dell’Inter. E lo striscione esposto il giorno successivo al pentimento di Beretta conferma che a prevalere è stata la fazione legata a Marco Ferdico, Antonio Bellocco e alla ‘ndrina di Rosarno. Era forse un arsenale di proprietà della criminalità organizzata, quello ritrovato a Milano? I vertici ultrà, in questo caso, avrebbero semplicemente garantito il supporto logistico.
Si potrebbe anche ipotizzare che, dato il patto di non belligeranza tra le due curve di San Siro, quel deposito avrebbe potuto essere usato anche dagli ultrà del Milan. La comunanza di interessi che sta emergendo potrebbe implicare anche una gestione condivise di risorse di questo tipo. Ma tutte queste restano, appunto, ipotesi. Ciò che gli inquirenti si aspettano da Beretta sono le informazioni riguardanti l’omicidio di Vittorio Boiocchi, l’ex capo della Nord. Berro e lo zio avevano un rapporto conflittuale: se il primo si riteneva l’erede del secondo, il vecchio ultrà non era convinto della gestione dell’aspirante nuovo capo del merchandising di “We are Milano”. Poi, con l’arrivo di Bellocco e l’ascesa di Ferdico, Boiocchi era diventato di troppo. Il suo omicidio, avvenuto il 29 ottobre del 2022, non ha ancora un colpevole. Nel deposito la polizia stava forse cercando l’arma del delitto? Lo zio, infatti, fu ucciso con due colpi di pistola, e trovarla sarebbe un passo avanti decisivo per capire il meccanismo che si era messo in moto per farlo fuori. Dai parcheggi al servizio di biglietteria, passando dagli eventi e le amicizie celebri. Ora, invece, la droga e le armi. Il tifo organizzato si sta rivelando sempre più potente. La procura, però, ha in mano il testimone chiave: e le parole di un pentito possono far luce anche sugli omicidi del passato.