Tutte le situazioni in cui sono coinvolti Luca Lucci e i leader ultrà ora agli arresti sono state definite “vicende private”. Questa è la formula usata dai Banditi della Sud nel comunicato che ha seguito l’esplosione dello scandalo delle curve di San Siro. Non contano, quindi, il tentato omicidio di Enzo Anghinelli, che da Massimo Giletti ha parlato del coinvolgimento del Toro nell’agguato, o il pestaggio di Motta Visconti (di cui abbiamo scritto in questo articolo)? Probabilmente no. Il profilo criminale di Lucci e degli altri, però, diventa sempre più chiaro nella sua gravità. Islam Hagag, per esempio, era una delle figure centrali nella gestione delle relazioni con la ‘ndrangheta e l’organizzazione di eventi in Calabria tramite la Why Event. Ma è soprattutto il Toro che si sta rivelando un personaggio importante nell’ecosistema criminale milanese, e non solo per la sua influenza su San Siro, il carisma come leader della curva e le amicizie importanti, su tutte quelle con Fedez e Emis Killa. È di queste ore la notizia del coinvolgimento di Lucci nell’inchiesta della Guardia di finanza di Pavia su un mercato di stupefacenti in cui spuntano i nomi dei Barbaro di Platì (famiglia a cui Hagag e Rosario Calabria, amico di Lucci, sono legati), si profilano collegamenti con il Marocco e la Spagna (da cui proveniva l’hashish) e spedizioni di tonnellate di droga provenienti dal Sudamerica. Cocaina, hashish ed eroina gestita da almeno venti persone (quindici in carcere, cinque ai domiciliari), tra cui anche Luca Calajò, il figlio di Nazzareno Calajò (di lui abbiamo parlato qui): un’organizzazione che aveva ramificazioni in tutta Milano, in particolare nel quartiere Comasina, dove a comandare fino a poco tempo fa c’era il clan Flachi, sostenuto prorpio dalla ‘ndrina di Platì. Il giro di affari, stando all’inchiesta, si aggirava intorno agli undici milioni di euro, che viaggiavano in canali nascosti, sistemi di underground banking come il fei eh ‘ien, circuito finanziario cinese finalizzato al trasferimento anonimo di soldi all’estero. E Luca Lucci, in tutto questo, non è affatto una figura marginale. Insieme a Calabria e ai colleghi in affari, tra cui Antonio Trimboli e Costantino Grifa (anche lui legato ai Barbaro), infatti, il Toro era in grado di muovere diverse centinaia di chili di marijuana, hashish e cocaina: “Fra questo è un lavoro in cui mai si può sbagliare o essere leggeri perché si paga caro!”, dice Lucci in un’intercettazione.
Dalle carte dell’ordinanza emerge anche un sistema di camion e trasporti con cui portare la droga in Italia. In una chat del settembre 2020 con Calabria, per esempio, si parla di un carico da 300 chili di hashish arrivato a buon fine, mentre un altro da 180 era andato perso in Francia. Ma anche nelle conversazioni con Antonio Trimboli (anche lui arrestato) vengono ricordate consegne da diverse decine di chili: “Sto portando 70 a Patrizia... Altri nel pomeriggio”. Grifa, invece, garantisce per la qualità del servizio offerto da Lucci: “So per certo che è il numero uno in Italia. Conosco quasi tutti i più grossi in Italia per il fumo e nessuno ha i suoi ritmi. Magari trovi anche stesso prodotto 100 euro in meno. Ma non hai garanzie sulla continuità e sul quantitativo”. E ancora: “Non c’è altro gruppo così organizzato in Italia, 440 di fumo è come vendere 44 forse di più di bianca in un giorno”. Queste sono solo alcune delle molteplici chat riportate nel documento del Tribunale di Milano. Peraltro, Lucci è uno dei nomi che, sempre secondo gli inquirenti, potrebbe essere a capo di un gruppo di persone dedicate al commercio di stupefacenti. Riportiamo il passaggio per intero, in cui compaiono gli altri nomi delle prime linee: “L'indagine ha restituito l'operatività illecita e interconnessa di elementi di spicco del narcotraffico lombardo (e non solo), identificabili nello specifico in Rozzo Andrea, in Trimboli Antonio Rosario, in Grifa Costantino e in Lucci Luca”, e poi: “Alla luce degli elementi emersi, e in particolare dele concrete caratteristiche dei traffici fotografati dalle chat criptate, non pare francamente dubitabile che dietro ciascuno di questi indagati possano celarsi altrettanti gruppi organizzati, a loro riferibili e composti quantomeno dai diretti interessati e da soggetti collaterali con mansioni più o meno prettamente esecutive”.
I nomi appartenenti all’orbita della curva del Milan sono diversi: Roberta Grassi, del gruppo ultrà “Associazione 1899”, che aveva ruoli operativi e che ha aiutato Lucci a far girare in autonomia oltre 2,7 milioni di euro; il gruppo di Trimboli, invece, si legge nell’ordinanza, avrebbe un “legame indissolubile” con i Banditi della Curva Sud; c’è poi Alessandro Sticco, detto “Shrek”, già finito in carcere per l’inchiesta “Doppia Curva”, e il padre Domenico Sticco, anche lui indagato. “Vicende private”: così i tifosi definivano gli affari, le frequentazioni e la vita criminale di Luca Lucci e degli altri leader arrestati. Il nome dei Banditi, però, appare chiaramente nelle carte, mentre il giro di affari messo in piedi da Lucci si attestava in milioni di euro. Potevano non sapere, dunque, gli altri ultrà rossoneri? Forse è davvero così. Nel comunicato che avevamo analizzato, però, ciò che emerge è la continuità con la vecchia gestione: ma non bastano i pestaggi, i tentati omicidi e lo spaccio di centinai di chili di droga per ammettere che almeno in parte certi affari sono più di questioni personali?