La tentazione di mettere mano alle dinamiche di mercato si sta rivelando fatale per la tenuta del governo Meloni. Un tema di cui si parla poco, perché si preferisce attaccare il governo sul piano ideologico. Facendo, neanche a dirlo, il gioco del governo stesso. Lo dimostrano i sondaggi, che vedono il gradimento alla presidente del Consiglio pressoché invariato rispetto a settembre 2022. Ma la coesione di Meloni, Salvini e Tajani, potrebbe essere intaccata da dinamiche tutt’altro che ideologiche e cioè dall’interventismo nelle massicce operazioni di mercato che costituiscono il risiko bancario in corso. Su tutte, quella che riguarda l’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit per l’acquisizione di Banco Bpm. La banca di Piazza Gae Aulenti si è mossa moltissimo negli ultimi mesi, tentando la scalata anche alla tedesca Commerzbank e giocando un ruolo strategico sul dossier di Assicurazioni Generali, altro capitolo cruciale del grande gioco del credito italiano. Ma è sull’assalto ai titoli di Pizza Meda che il governo ha alzato un muro chiamato Golden Power, imponendo vincoli strettissimi che sembrano essere sul punto di mandare in fumo l’operazione. Sino ad ora Orcel, che pure ha tentato di apparecchiare un incontro con il governo, non ha racimolato nulla. In compenso, ha scatenato l’insofferenza di Banco Bpm e del suo amministratore delegato Giuseppe Castagna, timoroso che il clima di incertezza possa aver ripercussioni. Tant’è che nelle ultime ore è partito all’attacco, prima con una campagna di comunicazione pubblicata su alcuni quotidiani, in cui compare la scritta: “Centosessant’anni per i nostri territori. Ecco perché all’ops di Unicredit diciamo No”. Poi con la comunicazione dei conti trimestrali, con cui la ex Popolare ha mostrato i muscoli. Riguardo al periodo gennaio-marzo, i ricavi totali sono cresciuti del 2,9 per cento annuo a 1.476 milioni, spinti dall’aumento del 6,2 per cento delle commissioni, mentre il margine d’interesse è sceso del 5,5 per cento complici i tassi calanti. L’utile netto è così salito del 38 per cento a 511 milioni. Un risultato che salirebbe addirittura a 549 milioni considerando il contributo di Anima, la società dei fondi entrata di fatto a far parte del gruppo dopo il successo dell’Opa: “Si tratta dei risultati migliori della nostra storia, che ci proiettano in anticipo rispetto alla traiettoria del piano industriale”, ha dichiarato Castagna agli analisti.


Orcel, come detto, tentenna. Piazza Gae Aulenti starebbe meditando il ritiro dall’operazione, con l’ops che dovrebbe chiudersi a metà giugno. Ma una presa di posizione ufficiale non è arrivata. Forse, l’ultima speranza era riposta in un confronto con Palazzo Chigi. Ed è qui che si spacca, di nuovo, l’esecutivo. Secondo fonti di governo citate da Repubblica i leader della maggioranza non avrebbero trovato un’intesa sull’esercizio dei poteri speciali riguardo all’acquisizione di Banco Bpm: “Una scelta che ha già messo in difficoltà l’esecutivo: il via libera di Forza Italia alle prescrizioni è stato comunque accompagnato dalla ferma volontà del suo leader, Antonio Tajani, di mettete a verbale la contrarietà degli azzurri. Non in un documento qualunque, ma nel resoconto del Consiglio dei ministri del 18 aprile che ha approvato il Dcpm con i paletti a Unicredit”, continua Repubblica.La faglia in seno al governo correrebbe dunque fra Tajani e gli altri due, molto meno inclini ad aperture. Soprattutto Salvini si è mostrato, sin da subito, non disponibile a una trattativa che prevederebbe, tra l’altro, un incontro tra Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia in quota Lega e, appunto, Orcel. Per il leader del Carroccio un allentamento delle prescrizioni del Golden Power sarebbero da escludere. Una linea seguita in buona parte anche da Fratelli d’Italia e dalla premier. Dall’altra parte ci sarebbe, appunto, Tajani, che ha sempre spinto per lasciare che fosse il mercato a dettare la fattbilità o meno di un’operazione. Tanto più se questa aveva già ottenuto l’avallo sia della Banca d’Italia che dell’Unione europea. La Commissione ha infatti la possibilità di revocare le decisioni di governo ai sensi del regolamento 139/2004 sul controllo delle concentrazioni, secondo il quale deve essere un organo comunitario, nello specifico la Direzione generale per la concorrenza, a decretare la legittimità o meno dell’operazione. Su questo punto, il clima nel governo resta piuttosto teso. Una tensione su cui forse Orcel spera di ottenere un cedimento, come prezioso dividendo.
