Qual è stato il ruolo di Papa Francesco nel quadro internazionale? Dai primi successi alle recentissime critiche per le posizioni orese dalla Santa sede nel conflitto russo-ucraino e in quello israelopalestinese. Il Papa è stata ascoltato, al di là della religione, come fonte autorevole per discussioni geopolitiche. E oltre a essere un riferimento per ambientalisti e i progressisti, Francesco è diventato anche una delle figure “iconiche” del nuovo pacifismo. Ora che è morto qual è la sua eredità? E il suo successore quali nodi dovrà affrontare? Lo abbiamo chiesto a Matteo Matzuzzi, esperto e vaticanista del Foglio, autore de Il santo realismo: Il Vaticano come potenza politica internazionale da Giovanni Paolo II a Francesco (Luiss University Press, 2021) e di Atlante geopolitico del cattolicesimo: Come cambia il potere dentro la Chiesa (Piemme, 2022).

Se dovessimo trovare una formula per descrivere la dottrina geopolitica di Papa Francesco, quale sarebbe?
Realismo politico. Quella della Realpolitik, della Ostpolitik, che a costo anche di sofferenze, di sacrifici della Chiesa in Occidente nei paesi perseguitati, puntava a fare il possibile per giungere a un accordo, a un'intesa con i poteri nemici in quegli Stati. Penso ad esempio alle sofferenze che patì il cardinale Mindszenty in Ungheria, un martire, ma anche altri che denunciarono la strategia messa in piedi dalla chiesa di Paolo VI di negoziare, di trattare con questi poteri anche, come dicevo, a costo di vedere la chiesa soffrire. È una teoria che fu denunciata da Giovanni Paolo II, che cambiò totalmente linea di condotta, abbandonò la realpolitik ecclesiastica.
È quello che è successo con la Cina? Gli accordi segreti, che vennero gestiti da uno dei papabili, Parolin, in cosa consistono?
Da quello che si sa ci sono delle interlocuzioni tra la Santa Sede e il governo cinese in relazione alla nomina dei vescovi e al disegno delle diocesi cinesi, per cui sostanzialmente il papa approva la nomina dei vescovi che viene decisa dal Partito comunista. Bisognerà attendere probabilmente ancora molti anni per vedere i frutti, positivi o meno, di questo accordo.
Ora che il Papa è morto quali scenari più controversi restano aperti?
Sicuramente Gaza, perché servirà ricucire con il mondo ebraico che ha patito molto l’atteggiamento di Francesco, considerato filopalestinese e avverso al governo di Netanyahu. Ma questa è un'esagerazione, perché Francesco non è assolutamente anti-ebraico, anzi, lui a Buenos Aires aveva ottimi rapporti con la comunità ebraica della capitale argentina, che è una delle più grandi al mondo, oltre a quella di Israele ovviamente. Ma questa guerra ha maciullato amicizie, dialogo e tutto quello che ha a che fare con questo tipo di rapporti, ha portato anche il Papa a essere considerato antisemita, con immani conseguenze sui sessant’anni di dialogo tra cristianesimo ed ebraismo.
È questo il motivo per cui il governo israeliano ha cancellato i messaggi di cordoglio per Francesco dai social?
Sì, sicuramente c'è una versione netta da parte della Santa Sede nei confronti di Benjamin Netanyahu e la cosa è reciproca, perché per Israele il Vaticano è stato troppo morbido quando avrebbe dovuto condannare Hamas. E così arriviamo a questi casi, con messaggi che vengono cancellati, anche sgradevoli dal punto di vista formale e del lessico diplomatico.
Provando a fare un bilancio, credi che il problema di Papa Francesco sia stato magari comunicativo?
Sì, derivante da un problema superiore, più grave, un problema caratteriale. Lui spesso l'ha detto, ha un brutto carattere. Il pontificato di Francesco, con i suoi gesti, nel bene e nel male, è stato caratterizzato da una totale impulsività. È stato un papa impulsivo in atti di governo che hanno fatto dei danni notevoli, ma anche in gesti profetici, come la scelta impulsiva di andare a Lampedusa come prima uscita da pontefice. Certamente sul fronte della geopolitica, che è quello che ci interessa, questa impulsività ha prodotto molto. Ricordo che nel 2015 Barack Obama e Raul Castro ringraziarono il papa per aver mediato tra Cuba e Stati Uniti. E fu un risultato pazzesco per la diplomazia vaticana. Successivamente, invece, tutto questo credito ottenuto è andato un po' sbriciolandosi, sgretolandosi. Quando il Papa scavalca i classici canali diplomatici della Santa Sede, per esempio dicendo che la Nato abbaia ai confini della Russia o che Kirill è il chierichetto di Putin, chiude ogni possibilità di dialogo e di avvicinamento con le controparti. In Ucraina moltissimi sacerdoti non menzionano più il nome di Francesco nelle liturgie, una cosa gravissima. E anche sul fronte di Gaza, benché lì la situazione sia ancora più complessa, sicuramente non ha facilitato con i suoi interventi una distensione.
Bergoglio ha spesso parlato di una Chiesa decentralizzata, ma chi lo critica sostiene sia stato un papa che ha accentrato molto il potere su di sé. Quale aspetto è prevalso a tuo parere?
Difficile a dirsi. Papa Francesco è stato il papa “più assoluto” da almeno due secoli a questa parte. Abbiamo visto Papa Francesco che interveniva a processi in corso, modificando le norme, una cosa che in uno Stato che non è una monarchia assoluta sarebbe ingiustificabile. Dall’altro lato c'è stata, fin dall'inizio del pontificato, la ricerca di dare più potere alle chiese locali. Decentralizzazione, sinodalità, sono concetti importanti, ma soprattutto il secondo è stato spesso frainteso, credendo che corrispondesse a un “liberi tutti” di fare ciò che si voleva. Basti pensare ai tedeschi convinti che potessero avere totale autonomia, salvo poi averci provato e aver visto Papa Francesco reagire in modo molto rigido. È una delle tante contraddizioni di questo pontificato.
Quale sarà il tema dominante del prossimo Conclave?
La necessità di aggiustare ciò che in qualche modo è diventato più fragile in questi anni. Le contraddizioni di cui abbiamo parlato vanno risolte, servirà molta discrezione ma anche molta competenza.
Si sta parlando moltissimo del cardinale Becciu, secondo te è davvero un caso così spinoso, rilevante, come passa dai giornali?
Il Papa anche in questo caso ha fatto davvero molta confusione. E la dimostrazione che spesso il papa ha gestito la questione in modo eccentrico e contraddittorio, per esempio togliendo i diritti cardinalizi a Becciu ma mantenendolo cardinale, poi invitandolo a una messa e al Concistoro. Servirà mettere ordine anche a livello di Diritto canonico. Il caso Becciu in sé è piccolo, ma ha implicazioni molto ampie. Come dire, è una rete che poi si trascina dietro molti pesci.
Tornando a Parolin. Lui potrebbe risolvere questo genere di problemi, anche a livello geopolitico. Sicuramente ha una storia di diplomatico.
Sicuramente avremmo un pontefice che non direbbe mai che la Nato abbaia ai confini della Russia, anche se lo pensasse. Parolin è un classico prodotto dell'antica diplomazia vaticana. Parolin è stato un pupillo del cardinale Achille Silvestrini. Quindi è dotato di una certa prudenza connessa a una finezza diplomatica che viene riconosciuta anche all'estero, molto lontana dall’impulsività bergogliana.
La Chiesa tedesca, forse la più progressista, potrebbe avere un ruolo nel conclave?
Si noti questo. Francesco ha fatto tantissimi cardinali, lo si sta dicendo in questi giorni, ma praticamente non ha mai fatto un tedesco. Ne ha fatto uno nel suo primo concistoro, l'allora prefetto per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, che però è uno dei fieri oppositori di Francesco. I cardinali elettori tedeschi in conclave sono tre. Sono Müller, che è un conservatore, il cardinale Marx, che è un progressista, e il cardinale Welke, arcivescovo di Colonia, che è un conservatore. Capiamo benissimo che quindi dalla Germania non può arrivare un esponente che sostenga una linea di continuità con il pontificato di Francesco.
