Lo schermo non dà più segnali di vita. È nero. Proprio come l’umore di chi prende in mano il suo fidato tablet di lavoro e scopre che, all'improvviso e senza alcuna apparente ragione, il dispositivo ha smesso di funzionare. Nessuna caduta, nessun danno indotto, nessun segnale anticipatore. Dal momento che stiamo parlando di un iPad Pro 11 di Apple di prima generazione, e che il marchio di Cupertino si vanta di offrire alla clientela un servizio d’assistenza completo, la scelta più razionale consiste nel mantenere la calma e telefonare al numero verde dell’azienda. Qualcuno risponderà alla chiamata d’aiuto, chiederà con la massima educazione il numero di serie dell’oggetto marchiato con la Mela di Steve Jobs – chiamandovi per nome, aggiungendo sempre l'appellativo di signore o signora – e tutto si risolverà nel migliore dei modi. D’altronde Apple è Apple. Prima della fatidica richiesta d’aiuto, per puro caso, tenendo premuto il tasto di accensione del tablet, la voce meccanica di Siri – l'assistente virtuale di Apple – rimbomba nella stanza. Questo significa che l’iPad è acceso. Guardando lo schermo controluce, con estrema difficoltà si notano le app ordinate sulla home e tutto che funziona regolarmente. Dunque il tablet funziona, ma per qualche strano motivo non ha più luminosità. L'assistenza telefonica Apple, che intanto risponde alla chiamata, propone un paio di trucchetti che non funzionano (spegnere e riaccendere, forzare il riavvio e via dicendo) e consiglia di fissare un appuntamento in un qualunque Apple Store. Sicuramente tutto si risolverà con un bel lieto fine. Peccato che, una volta di fronte al moribondo iPad, l’assistenza del negozio rimane stupita. Un primo check non segnala alcun guasto a livello di sistema.
Il dilemma del tablet difettoso
Ingenuamente, il proprietario del tablet immagina che, a fronte di un’analisi approfondita, l’Apple Store possa individuare il problema e rimettere in sesto un dispositivo colmo di progetti di lavoro, materiale sensibile, contatti importantissimi. Peccato che l’iPad in questione non sia più coperto da alcuna garanzia, essendo passati quasi quattro anni dal suo acquisto. Peccato anche che l’Apple Store spieghi che no, non si può intervenire materialmente sul tablet difettoso in questione, smontandolo e sostituendo eventuali pezzi danneggiati. L’unica possibilità coincide con la sostituzione dell’iPad con un altro prodotto: analogo o di modelli avanzati. Fantastico! Se non fosse per due problemi non da poco. Uno: la sostituzione del dispositivo implica la perdita degli importantissimi dati contenuti nel tablet guasto (impossibile tentare un backup, vista l’assenza totale di luminosità. Impossibile anche attingere a precedenti backup, visto che il proprietario non ne aveva mai fatto uno). Due: la sostituzione del dispositivo guasto è pressoché gratuita per i clienti che hanno avuto l’arguzia di aggiungere un’apposita garanzia Apple al momento dell'acquisto del prodotto. Gli altri devono pagare una lauta somma. Nel caso specifico, un iPad pro 10 di prima generazione funzionante sarebbe costato circa seicento euro; somma quasi doppia a fronte, invece, di un analogo modello di ultima generazione. Una spesa enorme, un macigno, un dilemma complicatissimo.
La “variabile cinese”
Rassegnato a perdere il suo tablet e i fondamentali progetti di lavoro, il proprietario del dispositivo difettoso si rianima quando, in maniera informale, un addetto dell’Apple store gli offre un consiglio bizzarro. “Se il dispositivo funziona, potrebbe avere un problema allo schermo. Magari c’è chi lo sostituisce. Prova a portarlo in un centro di riparazione gestito dai cinesi”, spiega l'ordinatissimo impiegato Apple. Detto, fatto. Dopo una breve ricerca per capire qual è il miglior riparatore cinese in zona, il nostro proprietario tenta l’ultima spiaggia. Si presenta nel negozio cinese più comodo da raggiungere e spiega, in poche parole, i problemi del proprio tablet. “Se è un problema di schermo, dobbiamo sostituirlo. Costerà duecentoquaranta euro. Se il tecnico troverà altre cause, ti contatterò per informarti e mi dirai come e se procedere”, comunica l'impiegato del negozio. Passano pochi giorni e arriva il primo verdetto tramite messaggio: “Lo schermo non ha alcun problema. Dobbiamo sostituire la scheda madre. Il costo è di centoquaranta euro. Dobbiamo ordinare il pezzo dalla Cina. Due settimane di tempo”. Il proprietario accetta e, passati esattamente quattordici giorni, riceve la chiamata tanto desiderata: “Il tablet è a posto. Funziona. Può passare a ritirarlo”. Fine del dramma. In sintesi: Apple non è riuscita (o meglio: non ha voluto farlo a causa delle proprie pratiche burocratiche) a risolvere un problema apparentemente semplice, come la sostituzione di un pezzo, mentre un normalissimo negozio cinese lo ha fatto a prezzo modico. La situazione appena raccontata rispecchia, se vogliamo, il braccio di ferro tecnologico in corso tra Stati Uniti e Cina, con Pechino che – in parte per capacità e in parte per una diversa concezione del lavoro – ha (quasi) superato il maestro Washington. Del resto, per tornare al caso Apple, per anni il colosso di Cupertino ha fatto affidamento su una vasta rete di produzione cinese per produrre in serie iPhone, iPad e altri prodotti popolari presenti nelle famiglie di tutto il mondo. A causa delle tensioni in corso tra le due superpotenze, l’azienda tecnologica più preziosa al mondo sta cercando di smarcarsi dalla dipendenza cinese. Wedbush Securities ha stimato tuttavia che Apple potrebbe impiegare almeno fino al 2025 o 2026 per spostare la maggior parte della sua produzione di iPhone in mercati come India e Vietnam, ma solo se “si muoverà in modo aggressivo”. Per avere un’idea di quanto sia cruciale la Cina per Apple, basti pensare che oltre il 90% dei prodotti della Mela passa dal Paese asiatico. Apple, dunque, è in un certo senso un’azienda tanto cinese quanto americana. In ambito tecnologico, intanto, l’allievo sta superando, o per lo meno raggiungendo, il maestro. Di sicuro nella riparazione degli iPad. E forse – c’è da scommetterci – anche in ambiti ben più strategici.