“Eravamo delinquenti. Andavamo contro lo Stato, l’economia e i bisogni della gente. Praticamente contro tutto. Come i guerriglieri e i paramilitari. Però, mentre loro lottano per altri ideali, noi gestivamo il mercato della droga e facevamo guerriglia urbana. Adesso, ci battiamo per avere un ospedale, un centro odontologico, un mercato di quartiere in cui poter fare la spesa a prezzi più bassi. Non abbiamo nulla, purtroppo, e non possiamo spostarci nei quartieri confinanti perché altrimenti avremmo problemi con le bande con cui finora ci siamo contesi i traffici illegali”, racconta Tío Meo, che ha il volto coperto di cicatrici e la voce cadenzata da freestyler. Tío Meo è il suo nome d’arte, ne hanno tutti uno nel quartiere, proprio come in una crew. Si arrampica per le strade ripide e sterrate, indica i murales che i graffitisti di ogni parte del mondo hanno realizzato al Barrio Egipto, e dice: “Il nostro progetto si chiama ‘Breaking Borders’, che vuol dire ‘rompere le frontiere’, perché in questo posto ci sono quattro frontiere invisibili e noi stiamo lavorando per eliminarle”. Barrio Egipto è uno dei quartieri più vulnerabili di Bogotà, ai piedi del Monserrate, separato dal centro storico “La Candelaria” da una delle tante vie caotiche della capitale colombiana. Prende il nome dalla chiesa coloniale dedicata a Nuestra Señora de Egipto e ospita ottocento famiglie. Negli ultimi anni, il barrio ha detto no alla violenza, lavorando al progetto di turismo sociale Breaking Borders, intrapreso nel 2016 da Jaime Calabazo Roncancio, detto “El Calabazo”, uno degli ex criminali del quartiere. Oggi il sobborgo si apre a turisti, studiosi, viaggiatori provenienti da tutto il mondo e afferma la sua nuova identità. Siamo nella Colombia del conflitto armato, la guerra civile che opprime il popolo da più di sessant’anni, e che ha letteralmente devastato il tessuto sociale. Leader dei diritti umani, leader sociali e ambientali, sacerdoti e persone comuni lavorano costantemente per la costruzione della pace e per restituire un paese migliore ai propri figli. Secondo il rapporto 2022 di Global Witness, la Colombia è il primo paese al mondo più pericoloso per i leader dei diritti umani e dell’ambiente. I dati della Cev (Comisión de la Verdad), raccolti tra agosto 2018 e giugno 2022, lo confermano: il numero di assassinii è pari a 930. Secondo la Uaeariv (Unidad Administrativa Especial para la Atención y Reparación Integral a las Víctimas), il numero totale delle vittime del conflitto armato, aggiornato al 31 gennaio 2022, è poco più di 9milioni e 423mila. Breaking Borders è uno dei tanti miracoli di questa realtà fatta di sangue e di lotta per la libertà.
Barrio Egipto è fatto di colori ed eucalipti. Le guide, riconoscibili perché indossano tutte uno smanicato azzurro e una spilla con il nome del progetto, accompagnano i turisti tra i murales, cantano i propri versi o quelli di rapper famosi e raccontano storie di spari che diventano leggende per chi ascolta. Andrés, uno dei più piccoli, ci scorta fino alla parte alta del barrio dove si vede tutta Bogotà e uno dei murales più identificativi: “Questo ce lo ha regalato Noma, un artista colombiano molto famoso. Tra i simboli rappresentati ci sono: il pennello, che vuole indicare l’intenzione di dare un colore al nostro quartiere; il bersaglio, perché molti di noi, già in tenera età, smettono di giocare per impugnare una pistola; il microfono, perché siamo un quartiere che si vuole identificare con l’arte hip pop; la birra, perché celebra la convivialità e il nostro stare insieme; il fulmine rappresenta il mondo criminale, cioè quel monopolio che vende la droga e le armi, quindi il potere - oggi, infatti, crediamo che Breaking Borders sia come un fulmine perché ha cambiato la nostra gang, “La Decima” -; il calcio, perché è il simbolo di tutti i ragazzi che cercano la speranza, e, infine, il fuoco, perché descrive il nostro quartiere, cioè uno dei più caldi di Bogotà”. Ma Barrio Egipto non è ancora fuori pericolo. Sono tante le famiglie costrette a stare nel degrado per sopravvivere, e l’apertura del quartiere a persone nuove, diverse per cultura e latitudine, permette agli ex criminali di guadagnarsi da vivere con un lavoro dignitoso e soprattutto legale. La speranza, nei sogni delle famiglie di Egipto, è negli occhi di Vicente Sarmiento e Celina Gutiérrez, dipinti sul murale all’entrata del quartiere. Sarmiento è l’unica persona che al momento possiede un telefono cellulare, mentre sua moglie è la storica infermiera del barrio, che gode del privilegio di non essere mai stata sparata, pur passando da una “frontiera” all’altra per curare le persone di rioni diversi.
“Questo murale è dedicato a Celina Gutiérrez, una donna di Medellín che ha novant’anni e vive in questo quartiere da quando ne aveva venti. Celina ci ha offerto con la sua cura l’unico servizio sanitario che ha avuto questo luogo da quando è nato. È per noi una sciamana. Una donna sapiente. Si è sempre occupata di guarire e operare le nostre ferite di arma da fuoco, e mai è successo che prendessero infezione, o che qualcuno morisse”, si alza la maglia Alex, mostra lo sfregio che ha sul fianco, e conclude: “Questa ferita me l’ha curata lei dopo che una volta mi hanno sparato. Avevo perso così tanto sangue che pensavo di non farcela; invece, Celina mi ha dato amore e cura, e non è servito neanche che andassi in ospedale”.
Il sogno che “El Calabazo” porta avanti con la sua crew è sostenuto anche da Pedro Miguel Mora Medina, un sacerdote basiliano che da sette mesi è presente in maniera assidua nella chiesa di Nuestra Señora de Egipto. Padre Mora dice: “Con ‘El Calabazo’ vogliamo aprire un tunnel all’interno della chiesa per favorire il passaggio ai turisti perché sempre più persone si sentano sicure di stare nella nostra comunità. Stiamo lavorando anche a un progetto per ragazze madri, per avviarle al cucito e, quindi, alla produzione di indumenti per fare in modo che guadagnino e possano essere indipendenti. ‘El Calabazo’ è una persona rispettosa, il suo impegno e la voglia di cambiare vita mi danno speranza. Per questo farò di tutto per far sì che il Barrio Egipto possa continuare a dire no alla violenza”.